Caro direttore,
questa pandemia ha prodotto una ecatombe di gran parte di una generazione che ha permesso lo sviluppo sociale ed economico del nostro Paese; si tratta degli anziani, meglio ancora dei nostri fratelli e sorelle più grandi, i padri, i nonni. Ci sono delle voci tra cui quella di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, che ha proposto di 'tenerli al sicuro', in casa, sino a Natale. La motivazione è preservare dal contagio, ma è un approccio che considera la difesa della vita solo dal punto di vista clinico. La vita non è solo l’assenza del contagio o la cura per evitare una ricaduta: la vita è un insieme di relazioni, di affetti, di sguardi e possibilmente di abbracci e di carezze. Quando ero piccolo, mia mamma mi mandava a stare un po’ di tempo con parenti e suoi conoscenti anziani che vivevano senza il conforto dei figli o nipoti.
Dopo le mie prime resistenze, io ci andavo e me ne tornavo sempre contento per aver sentito le loro storie e ricevuto i loro biscotti. Quella è stata per me anche la scuola per il servizio della carità, che mi ha aiutato nella missione in Brasile e in Italia. Ai miei riscontri pastorali si è aggiunto in questi giorni il dialogo con alcuni medici. Mi ha scritto il professor Raffaele Numo, primario reumatologo al Policlinico di Bari, sostenitore di una campagna molto documentata sui mali legati a una lunga costrizione domiciliare degli anziani, identificati con la generica definizione di 'soggetti fragili'. Il medico invita a riflettere che tale fragilità può essere decretata non effettiva non autosufficienza, ma semplicemente per l’età avanzata. Questo se generalizzato, come sembra che potrebbe essere nel provvedimento governativo per la Fase 2, non è giusto e non è vero.
Ci sono persone anziane con una ragionevole salute fisica, un acume intellettuale e un intenso vigore spirituale come papa Francesco e il suo predecessore Benedetto XVI. Il primo guida autorevole della Chiesa e indiscusso leader morale in questo momento di smarrimento, il secondo che continua a pubblicare testi di grande pregio culturale e teologico. Rinchiudere chi ha possibilità di movimento, spiegano i medici, non fa che aumentare tutta una serie di patologie. Cresce il rischio cardiovascolare, possono peggiorare le patologie metaboliche, il diabete, ecc. Inoltre, la mancanza di contatti diretti con altre persone deteriora i processi cognitivi e accentua la tendenza alla depressione. Per gli anziani, come per chiunque altro, recuperare una vita di relazione usando rigorosamente le misure di protezione individuale (Dpi) ed evitando gli agglomerati può favorire, anche in tempo di pandemia, la sanità fisica e psichica. Tutti noi ci realizziamo nel rapporto con gli altri e certe severe misure restrittive sono necessarie per periodi limitati; poi subentra la necessità dell’incontro, del dialogo anche se con gradualità e prudenza. Questo poi è particolarmente indispensabile nell’esperienza cristiana.
Papa Francesco ci ha ricordato che «la familiarità con il Signore è sempre comunitaria: l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti, sempre». Senza fretta, ma anche senza reticenze, è possibile che nella prossima Fase 2 sia attivato un cammino di progressivo superamento per tutti, anziani inclusi, della forzata clausura. Sarà una scelta di salute pubblica, avendo a cuore il bene concreto della persona.
Arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali, la giustizia e la pace