Sergey Lavrov, il roccioso ministro degli Esteri della Russia, uno dei veri insostituibili nel sistema di governo di Vladimir Putin, ha fatto ieri una significativa dichiarazione sulla crisi dei richiedenti asilo al confine tra Bielorussia e Polonia. «Non dobbiamo dimenticare – ha detto – che le radici di questo problema affondano nella politica che i Paesi della Nato e della Ue perseguono da molti anni in Medio Oriente e nel Nord Africa, dove cercano di imporre un modello di vita ispirato ai modelli occidentali». Lavrov si riferisce al fatto che la gran parte dei profughi e migranti che cercano di penetrare il confine polacco sotto lo sguardo compiacente e spesso – come su queste pagine si è documentato – sotto la spinta delle guardie di frontiera bielorusse viene dall’Iraq e dal Maghreb. Ma le sue parole fanno il paio con quelle pronunciate dallo stesso Putin alla vigilia del G20 italiano sull’Afghanistan. Allora il presidente russo disse che eventuali aiuti all’Afghanistan avrebbero dovuto essere versati dai Paesi che l’avevano occupato per vent’anni.
Può anche darsi, quindi, che dietro la crisi dei richiedenti asilo tra Bielorussia e Polonia, e prima ancora tra Bielorussia e Lituania, ci sia la mano dei servizi segreti russi, come dice qualcuno. Certo è che il Cremlino, anche attraverso il regime di Aleksandr Lukashenko, sta usando le ultime emergenze per dimostrare gli esiti nefasti della politica occidentale basata sui criteri della «ingerenza umanitaria» e della «esportazione della democrazia», esercitate discrezionalmente e maldestramente in Afghanistan e in Iraq. Ed esaltare, nello stesso tempo, l’approccio "alla russa", e se vogliamo pure "alla cinese", dei rapporti internazionali: reciproca convenienza e per il resto liberi tutti.
Può sembrare una questione tutta politica, a tratti una ripicca venata di propaganda. Sia Lukashenko sia Putin, però, sanno bene che l’Unione Europea non cederà mai a un ricatto, non allevierà le sanzioni contro la Bielorussia, decise dopo le elezioni truccate del 2020 e il dirottamento del volo Atene-Vilnius per arrestare l’oppositore Protasevich, per evitare la pressione dei migranti al confine con la Polonia. Cosa di cui, peraltro, sia all’uno sia all’altro non importa molto. Lukashenko, poco amato al Cremlino, si è garantito l’appoggio della Russia agitando lo spauracchio di un Euromaidan bielorusso, e tanto gli basta. Putin ha tirato le redini al boss bielorusso e spinto un po’ più avanti l’ipotesi di una federazione tra i due Stati, e per ora si contenta.
Il vero obiettivo, invece, è lavorare sui nervi scoperti e sui nodi irrisolti della Ue. Il nervo è quello delle migrazioni. L’Europa ha esternalizzato il controllo dei flussi, stringendo accordi con la Turchia e altri Paesi. Ma all’interno, vertice dopo vertice, pare incapace di prendere decisioni davvero collettive. Il modesto esito del Consiglio europeo di tre settimane fa, dove si è solo bloccato il tentativo di finanziare coi soldi di tutti eventuali muri anti-migranti, ne è la più recente dimostrazione.
A questo nervo si aggiunge il nodo, che possiamo così descrivere: i Paesi Ue più decisi nel rifiutare una politica comune sui migranti (no ad asilo o protezione internazionale, no alla ridistribuzione interna alla Ue di chi arriva) sono quelli dell’ex-Est europeo, che sono anche i più ostili alla Russia. Una miscela che spiega, a dispetto della piena solidarietà della Ue, il comportamento quasi sprezzante della stessa Polonia. Il Parlamento di Varsavia ha approvato un progetto per costruire, al confine con la Bielorussia, un muro anti-migranti lungo 80 chilometri, al costo di 407 milioni di dollari.
Il Governo ha rifiutato la presenza di Frontex (l’agenzia Ue per il controllo delle frontiere) e ha preferito fare da solo, schierando sul confine 12 mila soldati, 4 mila guardie, 1.500 poliziotti e 250 funzionari dell’antiterrorismo. Le autorità hanno decretato che nessun civile, quindi nessun giornalista (zero testimonianze) e nessuna Ong (zero assistenza ai migranti), può arrivare a meno di due chilometri dal confine con la Bielorussia. Un atteggiamento che rischia di logorare ancor più i rapporti tra Bruxelles e Varsavia, già messi a dura prova dalle polemiche sul controllo della magistratura e sui pronunciamenti 'sovranisti' della Corte costituzionale polacca. È in questo il vero guadagno che il Cremlino può trarre dalla crisi dei migranti. E non pare poca cosa.