Le mafie uccidono. Anche i ragazzi, anche i bambini. Non per sbaglio. Non da oggi. Ora anche con una bomba davanti a una scuola. Ma non si sono mai fermati di fronte a nulla. Senza alcun tentennamento. Perché una cosa è certa, l’ordigno che ha fatto strage ieri mattina doveva fare male, uccidere, provocare terrore. «Si tratta di un atto terroristico nel senso che è diretto a colpire persone innocenti e in maniera indiscriminata », ha commentato il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso.
Una certezza e tante piste ancora aperte. Anche se quella della criminalità organizzata è subito sembrata la più credibile. Pur se una tale violenza non era mai stata esercitata contro degli studenti. Le mafie non hanno mai amato la scuole. Lo aveva ben capito Antonino Caponnetto, il 'papà' del pool di Palermo: «La mafia teme più la scuola della giustizia, la mafia prospera nell’ignoranza della gente». E sono tantissimi gli edifici scolastici vandalizzati, soprattutto nei quartieri più difficili delle città a maggior presenza mafiosa, e anche gli insegnanti che hanno subito intimidazioni dai 'rampolli' dei clan o dai loro genitori. Ma missioni di morte non se ne erano mai viste.
I clan non hanno certo remore a uccidere. Anche a colpi di bombe indiscriminate. La stagione delle stragi del 1992-93 lo ha fatto ben capire e ancora ne paghiamo le conseguenze, tra misteri e veleni. Ma la Puglia, la terra della 'quarta mafia', della Sacra corona unita, nata proprio a Mesagne, il paese di Melissa e della altre regazze colpite, non era mai stata direttamente coinvolta. Anche se due episodi vanno ricordati.
Uno tutto pugliese, la bomba fatta esplodere sui binari della stazione di Surbo, poco prima che passasse il rapido Lecce-Zurigo. Una strage evitata per poco. Era il 6 gennaio 1992. Vent’anni fa. Come gli attentati a Falcone e Borsellino. E per quest’ultimo, secondo un pentito di cosa nostra, l’esplosivo era stato fornito proprio dalla Scu, da sempre specializzata nel traffico di armi, grazie ai suoi stretti collegamenti coi Balcani. Una coincidenza.
Come il nome della scuola, quello di Francesca Morvillo Falcone, morta al fianco del marito Giovanni Falcone a Capaci. Come il fatto che due uomini della loro scorta, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, era pugliesi. Come la prevista presenza a Brindisi proprio ieri della Carovana antimafia, promossa da Libera e dall’Arci, che sta girando il paese incontrando proprio le scuole sui temi della legalità. E ieri la tappa sarebbe stata in una villa confiscata a un boss della Scu. Coincidenze, tante coincidenze.
Forse troppe. Come l’operazione 'Die Hard' che appena dieci giorni fa a Mesagne ha portato in carcere 16 esponenti del clan, responsabili di estorsioni e attentati a imprenditori. Ancora bombe. Quella di ieri è stata una reazione alla retata? Con un messaggio preciso nel voler colpire proprio ragazze di Mesagne? Ipotesi, ma molto concrete per gli investigatori. Anche perché, colpita ancora una volta con durezza, la mafia pugliese potrebbe aver deciso di imboccare davvero la strada terroristica. Magari senza una precisa strategia, solo per fare male.
Reazione irrazionale, da nuove leve rimaste 'scoperte' dagli arresti eccellenti. Non sarebbe la prima volta.
Gesti analoghi, pur se ancora non mortali, si stanno ripetendo nella terra di Gomorra, dopo gli arresti dei boss latitanti. Gesti di chi sente il fiato delle giustizia sul collo e che reagisce nel solo modo che conosce, che gli hanno insegnato... certo non a scuola. Reagisce con la morte, unico linguaggio che le mafie conoscono bene. La morte e il dolore, anche di bambini e ragazzi. Melissa e le sue compagne non sono le prime. Salvatore e Giuseppe, appena 6 anni, il 2 aprile 1985 stavano anche loro andando a scuola con la mamma Barbara. Un’autobomba destinata al giudice Carlo Palermo ne fece strage. Chi spinse il pulsante del telecomando non si fermò, pur vedendoli.
Come non si sono fermati i tanti killer delle tante mafie. Come non si sono fermati gli attentatori di ieri. Questa, almeno per ora, è l’unica terribile certezza.