Caro direttore,
nel suo discorso al Parlamento Europeo, Emmanuel Macron ha detto cose interessanti rispetto ai suoi precedenti interventi. Ha parlato dell’Europa e del ruolo che deve assumere, elevando il discorso al di là del conflitto in atto. A parte alcuni passaggi retorici e le trasparenti ambizioni di leadership continentale del presidente francese, le sue parole meritano attenzione anche perché riecheggiano convincimenti da sempre ricorrenti nella politica estera italiana. L’appello di molti politici per una iniziativa europea che cerchi di mettere fine alla guerra russoucraina si scontra con la realtà: le posizioni dei Paesi fondatori dell’Unione non sono conciliabili con quelle dei Paesi dell’Est.
Una divaricazione è comprensibile se si ricordano le drammatiche ferite inferte alle nostre nazioni nella grandi guerre del ’900. I risentimenti dei polacchi e dei baltici non sono meno forti e profondi di quelli che covavano nei Paesi dell’Europa occidentale nel 1945. Ciò che a Ovest ha consentito di superarli è stata la sovrapposizione a essi della nuova iniziativa, avviata da Schuman, De Gasperi e Adenauer, e teorizzata da visionari come Altiero Spinelli, che ha portato le generazioni successive a superare il passato, a convenire su obiettivi di collaborazione reciproca e a incontrarsi per realizzare interessi comuni alla luce delle diverse posizioni nazionali. Il tempo ha fatto il resto.
Per i Paesi dell’Est, entrati vent’anni fa nella Ue, i sentimenti di rancore nei confronti della Russia di oggi e dell’Urss di ieri sono, invece, vivi e le ferite non rimarginate. Nessuna nuova narrativa si è sovrapposta a quella bellica. Anzi, violenze e distruzioni proiettate giorno dopo giorno sui nostri schermi da due mesi e mezzo a questa parte hanno riprecipitato in un passato mai chiuso. Trent’anni fa, alla fine della guerra fredda, la preoccupazione di Andreotti, di Mitterrand e di Kohl era come arrivare a una riconciliazione con la Russia di Gorbaciov e come avviare con essa un nuovo percorso di collaborazione. Il tentativo di creare una «casa comune europea », gettando le basi di un nuovo ordine di stabilità e sicurezza nel nostro continente, non andarono purtroppo a buon fine. Ci riprova ora Macron perché è più necessario che mai riprendere quella strada. La Russia, nonostante il suo sconfinato territorio asiatico, dal ’700 in poi entrò a far parte del Concerto delle nazioni europee, partecipò attivamente a conferenze, guerre, coalizioni e congressi.
Perché respingerla oggi? Non è nell’interesse né dell’Europa né della Russia creare un solco insanabile tra le due parti del continente. Data la gravità dei problemi ambientali, della penuria di materie prime e dell’acqua, le immense riserve della Russia si riveleranno indispensabili. Al tempo stesso, chiunque si troverà al Cremlino avrà interesse a collaborare con i nostri Paesi per sostenere sviluppo e accesso alle nuove tecnologie. Il Trattato del Quirinale di cooperazione rafforzata franco-italiana, come sottolineato dal ministro degli esteri Di Maio, offre una straordinaria opportunità di approfondire con Parigi il tema del nuovo rapporto da istituire con la Russia, una volta chiuso il conflitto e restaurata la pace. Il problema maggiore potrà rappresentarlo l’Alleanza Atlantica i cui obiettivi non coincidono con quelli della Ue.
La Nato guarda a possibili nemici, l’interesse dell’Europa è trovare partner. L’Italia non dovrebbe dimenticare la politica seguita da oltre 70 anni durante i quali, neppure nel periodo più duro della guerra fredda, è mai mancato il dialogo con Mosca, arrivando a risultati importanti come quelli conseguiti con l’Atto finale della Conferenza per la sicurezza e la collaborazione in Europa del 1 agosto 1975 a Helsinki. Per questi motivi, tenendo ferma l’appartenenza del nostro Paese all’Alleanza Atlantica, che il presidente Biden e il premier Draghi hanno appena sottolineato di nuovo, possiamo e dobbiamo essere tra i più attivi nel ricercare una soluzione diplomatica all’attuale conflitto per evitare un prolungamento sine die delle ostilità che renderebbe sempre più arduo tornare a progetti di stabilità e di sicurezza di tutto il continente, come era negli auspici di Mitterrand, Andreotti, Kohl, Thatcher e Gorbaciov quando sollecitavano trent’anni fa la convocazione di una Conferenza Helsinki 2.
Ambasciatore, già segretario generale del Ministero degli Esteri