L’Assunzione di Maria al cielo è una delle poche feste liturgiche che le Chiese d’Oriente e quelle d’Occidente celebrano congiuntamente. Speriamo che i cristiani, spinti anche dalle tante pandemie che devono affrontare, sintonizzino tra loro i cuori e i calendari per testimoniare uniti l’amore di Dio. La memoria della Madre, nostra, contesta la divisione sia tra le Chiese, sia all’interno delle singole Chiese.
Il pensiero alla Madre ci mette in relazione con fratelli e relativizza l’io che piega tutto a sé e ci fa pensare come isole o etnie. Ogni seme di divisione è una ferita che indebolisce la Chiesa e inevitabilmente fa crescere odio e violenza nel mondo. Non dobbiamo mai sottostimare l’inquietante capacità del male di riprodursi. Ne vediamo terribilmente le conseguenze, che rivelano anche come il non amare aiuta il male. Maria è invocata assieme dai suoi figli che si uccidono tra loro! Eppure Ella rivive per ogni persona la sofferenza che ha patito con la violenza scatenata sul Figlio crocifisso. Maria, la Mater dolorosa non ha finito di stare juxta crucem! E noi con lei. Il ricongiungimento col Figlio, nel grembo del Padre – è il senso dell’Assunta – la unisce del tutto alla compassione per i fratelli che il Signore le ha affidati, fino al ritorno di Lui. La Madre dona la vita e ci indica anche il suo fine e la sua fine che sono anche i nostri. La nostra fragile vita è destinata alla redenzione. Non siamo fatti per la terra, ma per il cielo. Maria è assunta, generata alla vita eterna perché piccola, umile, “leggera”. È salita in cielo con il corpo per indicarci la destinazione nostra e dei popoli: entrare nel Regno con i corpi, con i legami costruiti e sofferti, riparati e arricchiti, restaurati e accresciuti. Il Noi della città celeste, la Santa Gerusalemme, è il futuro dell’habitat nel quale Maria ha fatto il suo ingresso, quella casa dove Gesù è andato a preparare un posto perché dove è Lui siamo anche noi, ad iniziare proprio dalla Madre. Lei è l’inizio del punto di conciliazione dell’eterno di Dio e della storia degli umani: luogo in cui la guerra deve consumare la sua sconfitta ed essere svergognata della sua presunzione di riparare il mondo, raddrizzare il torto, assicurare il giusto. La Madre conosce il dolore e il suo dolore ci fa capire quello di chi è nella sofferenza. L’Assunta, oggi, è sempre “mater dolorosa” con le “sette spade” che le trafiggono il cuore – quante immagini di Maria ci sono nei nostri paesi! -, “sta” particolarmente in Europa, in Russia e in Ucraina, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e dovunque nel mondo si accendono guerre colpevoli e sprofondano vittime innocenti. Per una madre non c’è classifica di dolore e, come ci disse la mamma di un ostaggio israeliano ancora nelle mani di Hamas, non vuole che il suo dolore provochi altro dolore. Sento risuonare la gravità delle parole del grande Patriarca Atenagoras: «Chiese sorelle, Popoli fratelli». Ma noi, questo orizzonte, fatichiamo a vederlo nelle contrapposizioni e nelle ostilità che sembrano crescere invece di diminuire. È vero anche che la divisione delle Chiese diminuisce la fraternità tra i popoli. Possiamo celebrare la festa dell’Assunta senza provare vergogna per il nostro cristianesimo a pezzetti? E ancora. Siamo abbastanza addolorati per la contraddizione che abitiamo? Siamo pronti a rischiare i nostri talenti nella preghiera e nella solidarietà per riaprire un futuro ai nostri fratelli e sorelle che rimangono senza niente?
L’Apocalisse – che oggi ascoltiamo nella Liturgia – ci aiuta a leggere questo tempo con speranza e responsabilità. Il drago dalle sette teste coltiva la sua ambizione di arrivare al comando dell’epoca (tutte e sette le teste sono coronate, simbolo del potere!) e aspetta il momento opportuno, seminando indifferenza per i sacrifici umani che i signori della guerra ci costringono a moltiplicare. È una lotta terribile. Maria assunta in cielo ci ricorda la vittoria di Gesù sul Male e la forza degli affetti, dei legami che la morte sembra rendere insignificanti.
iprendere la tessitura della fraternità tra i fratelli e i popoli è il cuore della missione della Chiesa, oggi. Mettere in salvo i figli perché non diventino schiavi del drago è la sfida spirituale e culturale più alta che ci è affidata dalla fede. Maria è stata la prima a prendere in braccio Gesù bambino che nasce sulla terra, ed è la prima ad essere presa dalle braccia del Figlio e portata nel cielo di Dio. Ecco perché il Magnificat può ben diventare la preghiera cantata a Dio da parte delle Chiese per l’umanità intera. Ci sono qua e là alcuni segni di pace, di solidarietà, di volontà di dialogo da raccogliere: per i bambini in Ucraina, per gli ostaggi in Palestina, per i prigionieri fra Stati Uniti e Russia. E tanti altri ancora. Anche nostri, quando cerchiamo di aiutare chi non ha nulla. Segni piccoli, semi minuscoli. Un inizio che chiede però più audacia e creatività. Sono gesti, certo piccoli come semi, che mettono radici che non si vedono, ma crescono. Il seme smuove le montagne. Gli Apostoli – così racconta la tradizione – avvertiti dagli angeli che Maria stava morendo, si recarono attorno al suo letto e le raccontarono le meraviglie del Vangelo. Lo Spirito non permette che lasciamo mai la Madre da sola o noi restiamo soli e senza i fratelli. Non umiliamola con la nostra distanza perché la vera forza è l’unità, essere concordi. La Chiesa scopre ancor più la sua responsabilità di aiutare l’umanità tutta a vivere una storia di incontri, di dialoghi, di abbracci.
Cardinale arcivescovo di Bologna e presidente della Cei