Togliere il Presepe è sempre un momento un po’ mesto. È giusto che Giuseppe e Maria, Re Magi e dromedari, bue ed asinello, tornino nelle loro scatole ma sarebbe bello non impacchettare ciò che quelle statuine ci hanno insegnato e fatto ricordare. Cosa resta di giorni di festa che, per colpa del Covid, saranno sicuramente indimenticabili? Solo l’amaro di un virus che, approfittando della nostre necessità di incontrarci, ci spinge ora a fare la conta di quando ricominceremo a correre, come il peggiore di quei demoni che sfrutta ciò che abbiamo di più umano? O c’è altro che dobbiamo custodire per attraversare il tempo incerto e nebbioso, senza orizzonte, che ancora ci resta prima di uscire dal tunnel nel quale ci troviamo?
Mi è sembrato che quest’anno il presepe sia stato meno "politico" di altri anni e più semplicemente alimento per chi se ne nutre come fatto di fede. Ancora di recente papa Francesco ha ripetuto che usciremo dalla crisi o peggiorati o migliorati, ma di certo non uguali, sottolineando che il nemico che dobbiamo sconfiggere è la nostra indifferenza verso i poveri. Dunque, dal presepe, forse potremmo imparare proprio a sconfiggere l’indifferenza con la vicinanza. Spesso volgiamo lo sguardo da un’altra parte rispetto a chi ha bisogno di noi non perché siamo semplicemente e genericamente 'egoisti', ma perché agiamo senza un criterio di discernimento: impariamo perciò da Giuseppe e Maria l’arte di distinguere, perché la famiglia di Gesù ci insegna proprio a essere giudiziosi e prudenti. Il presepe ci dice che l’inclusione è l’unica strada possibile, ma ci dice anche che deve essere un’inclusione pensata e meditata. Maria e Giuseppe si sottopongono al censimento, che per i Giudei era una vergogna, perché era la legge civile a imporlo: ma lo fanno consapevoli di chi sono e interrogandosi sulla diversità e sulla molteplicità delle persone che si accostavano al Figlio.
La Sacra Famiglia ci insegna ad affrontare le difficoltà senza paura non perché ci si crede forti, ma perché si è certi della propria identità e ci si muove sempre nel rispetto della cultura e delle consuetudini altrui. Giuseppe che va in Egitto e poi ritorna non a Betlemme, ma a Nazareth, ci educa a un discernimento 'politico' che è nazionale e internazionale, ma è anche di cuore, etico e morale, dove soccorso, rispetto, dialogo, identità e interculturalità possano essere coniugate in modo armonico ed efficace. Il presepe è la storia di una Famiglia che insegna l’accoglienza e 'custodisce' tutti: i poveri come i ricchi, i pastori come i Re Magi, gli stranieri come i vecchi e i fanciulli, proprio perché reca con sé Chi non trova alloggio. Il presepe è anche Erode che uccide le persone con i ragionamenti, le parole, i giudizi, la legge, mentre i Magi, nel silenzio e spogliandosi della loro regalità, ricevono la rivelazione di Cristo.
Nei prossimi mesi avremo tante occasioni di comportaci come loro. Lo Stato provvederà sussidi ed aiuti che però rischiano di andare persi in un burocratese soffocante per chi non è capace di districarsi e di leggerlo: ci sarà bisogno di tanti 'sapienti' che sappiano spogliarsi per donare, in modo gratuito e umile, le loro competenze a chi, povero e ignorante, non sapendo districarsi nella foresta di regolamenti, potrebbe non riuscire a ottenere ciò che pure gli spetterebbe. I sapienti che vengono dall’Oriente camminano forse per due anni seguendo una stella che è frutto della loro faticosa conoscenza, affrontano difficoltà che riusciamo a immaginare con difficoltà e vanno a parlare con un monarca che ha il contrario delle loro intenzioni, e tutto ciò fanno per accorciare la distanza con il Bambino: Erode invece, insieme agli scribi, ai farisei ed ai dottori del suo tempo, non si muove da casa rendendo i pochi chilometri che separano Betlemme da Gerusalemme un tragitto invalicabile. I Magi, però, vengono ricordati perché capaci di custodire la vita, Erode perché uccide bambini innocenti: non dimentichiamolo, noi, all’ora di decidere.