Caro direttore,
abbiamo appena celebrato di nuovo la Festa della Mamma. I nove mesi dell’attesa sono un’esperienza unica nella vita di una donna, anche quando vive più di una gravidanza. Si sperimentano nuove emozioni, nuovi sentimenti, irripetibili, il pensiero percorre inedite vie di elaborazione e di espressione, gli stati d’animo si alternano: cambia completamente e per sempre la prospettiva di sguardo sul mondo. Certo, la maternità a volte impone vere e proprie acrobazie: per far quadrare situazioni, orari, esigenze. Ma genera anche nuove e impensate capacità, sviluppa creatività per affrontare e risolvere i piccoli grandi problemi quotidiani, pazienza e concretezza, concentrazione su svariate attività da compiere simultaneamente, destrezza per barcamenarsi, vittoriosamente, in una perenne corsa contro il tempo, tra la cura dei figli, il lavoro in casa e, per molte, anche fuori casa. Non sono solo giorni pieni e notti semplicemente insonni: sono gli inevitabili effetti collaterali dell’amore.
Viviamo in una società che fondamentalmente penalizza la maternità, che non consente alla donna di vivere serenamente la gravidanza perché non è capace di riconoscerne l’alto valore sociale, che costringe troppo spesso la donna a dover scegliere tra la sua realizzazione professionale e l’essere mamma, che non permette una giusta armonizzazione tra tempi di cura e tempi di lavoro, che costringe una donna, per esigenze economiche, a dover sempre più posticipare se non addirittura a dover rinunciare a una maternità, che non sa riconoscere, anche in termini economici, il contributo unico, insostituibile, prezioso del lavoro di mamma.
A questo si aggiunge il pressante condizionamento culturale e anche mediatico, che, proponendo modelli stereotipati di immagine femminile, induce nelle giovani donne l’idea che un figlio sia un peso, un limite, un problema, incompatibile con la piena realizzazione di sé. Nel nostro Paese, afflitto da una drammatica denatalità, occorre realizzare un’efficace tutela sociale della maternità, nella consapevolezza, come “Avvenire” documenta da anni e come ormai osservano apertamente esimi economisti, che la crisi economica trova, tra le sue principali cause, la crisi demografica.
La prima ricchezza di ogni Paese, sono infatti i suoi cittadini. Ma non bastano, anche se sono indispensabili, stabili provvedimenti di natura fiscale ed economica che finalmente si cominciano a definire: occorre mettere in atto una profonda rivoluzione culturale, per coinvolgere le forze sane del nostro Paese, sul piano legislativo (in Parlamento e in tutte le sedi istituzionali), culturale (nei luoghi educativi quali scuola e università e nei media) e sociali (associazioni, imprese, parrocchie). Una rivoluzione pacifica, capace di mettere in luce la bellezza dell’essere mamma.