La protesta drammatica dei pastori sardi che sversano litri di latte per strada mette in luce un problema ben noto. Pagare al produttore meno di 60 centesimi al litro non ripaga nemmeno i costi e spinge al gesto disperato di distruggere il frutto del proprio lavoro. Certo c’è un problema di economie di scala, di qualità e progresso tecnologico delle filiere, ma anche e soprattutto di basso potere contrattuale dei produttori della "materia prima". E il prezzo basso al consumatore, che ci fa credere di vivere nel migliore dei mondi possibili, è un’illusione che in altro modo paghiamo a caro e carissimo prezzo. Come ha recentemente ricordato Michael Pollan, «il cibo a basso prezzo è un’illusione. Non esiste. Il vero costo del cibo alla fine viene pagato da qualche parte. E se non lo paghiamo alla cassa, lo pagano l’ambiente e la nostra salute». Oltre che il produttore.
Esiste un destino ineluttabile per il quale siamo condannati a vivere in un modello con queste contraddizioni? O forse c’è la possibilità di mettere assieme qualità del prodotto, dignità del lavoro, tutela dell’ambiente e salute? Se Karl Marx avesse oggi diritto di parola con tutta probabilità cambierebbe il suo slogan più famoso in "Consumatori di tutto il mondo unitevi". Riconoscendo anche lui che il lato forte da cui risolvere le contraddizioni del sistema economico è oggi quello del potere del consumatore. Poiché governi globali dell’economia non esistono e non si vedono all’orizzonte, il consumatore è oggi l’unico "portatore d’interesse" che ha la forza potenziale per realizzare un modello di creazione di valore sostenibile.
E per quale motivo dovrebbe accontentarsi di essere influenzato dalla pubblicità o al massimo, nei casi più "evoluti" e consapevoli, di esercitare individualmente il proprio "voto col portafoglio" cercando di districarsi nella giungla delle valutazioni e delle offerte per premiare i prodotti più sostenibili? In Francia, il "voto col portafoglio" ha fatto un passo avanti importante. E un’associazione di circa diecimila consumatori ha stabilito di voler decidere a monte quale tipo di prodotto concepire e commissionare ai produttori. In questa nuova filiera i consumatori vengono coinvolti con dei questionari nella costruzione delle specifiche del prodotto. Una volta definite le caratteristiche il prodotto è commissionato ai produttori e proposto alle catene della grande distribuzione. Si è partiti proprio dal latte e i consumatori hanno optato per un latte da mucche allevate al pascolo almeno 6 mesi all’anno con foraggi prodotti nel raggio di 70km, naturali non Ogm e con una remunerazione equa ai produttori.
«C’est qui le patron?!» (la Marca del Consumatore francese) ha debuttato a fine 2016 vendendo più di 95 milioni di litri di latte a più di 8 milioni di consumatori in dodicimila punti vendita della grande distribuzione francese. Riconoscendo ai produttori 20 centesimi in più al litro (esattamente quello che chiedono con la loro protesta i pastori sardi). L’idea della Marca del Consumatore (che è nel frattempo diventata un movimento internazionale che sta nascendo proprio in questi giorni anche in Italia) ha le potenzialità per segnare un passo avanti decisivo nella storia dell’azione dal basso dei consumatori responsabili.
Riducendo alcuni degli ostacoli tradizionali del "voto col portafoglio" come la capacità di coordinare le scelte dei singoli cittadini e i limiti d’informazione sulle caratteristiche dei prodotti. E il prodotto ha conquistato una quota di mercato importante nonostante il prezzo finale sia del 20% superiore a quello medio dei concorrenti. Ovvero facendo leva sulla partecipazione, e riducendo le asimmetrie informative, è possibile far crescere l’economia riuscendo a capitalizzare la disponibilità a pagare dei cittadini per la remunerazione equa del lavoro, la tutela dell’ambiente e la salute.
Un principio fondamentale dell’economia civile stabilisce che il progresso sociale verso il bene comune ha bisogno di quattro mani: il mercato, istituzioni lungimiranti, cittadinanza attiva e imprese responsabili. Smettiamola di aspettare il cambiamento solo da un leader illuminato o dall'avvento di un improbabile governo mondiale dell’economia. Il 'potere forte' dell’economia di mercato siamo noi. Se solo impariamo ad organizzarci e a rendere più generative e ricche di senso le nostre scelte.