Ricominciare dai gesti giusti
sabato 4 marzo 2023

«La politica è la più alta forma di carità», disse san Paolo VI più di mezzo secolo fa. Una frase che ci è tornata in mente in questi giorni di dolore e di riflessione dopo la tragedia degli immigrati nel mare di Cutro. La politica è fatta di parole e di gesti, che concretizzano o negano quelle parole di papa Montini. E stavolta sono piovute, e ancora grandinano, parole inopportune, sbagliate, perfino offensive e gesti taglienti. Parole e tesi come quelle del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, o quelle appena più sfumate, di Matteo Salvini.

Parole che sarebbe stato meglio non fossero mai pronunciate, per rispetto nei confronti dei morti nella strage sulla costa calabrese, e della loro vita prima della morte. Una vita che provava a fuggire dalla morte a casa propria e che la morte ha trovato a casa nostra. Sì, ci sono state parole che feriscono, che fanno ancor più sanguinare la piaga aperta all’alba del 25 febbraio sulla costa calabrese. Parole non di umana e cristiana “carità” e, dunque, politicamente sbagliate. Ma negli stessi giorni abbiamo potuto vedere e sentire gesti di carità e di pietà da parte di esponenti della politica e delle istituzioni, da quelle più alte a quelle locali. Dunque, anche gesti dal pieno e limpido valore politico.

Come la scelta del presidente Mattarella di recarsi a pregare davanti alle 68 bare e di incontrare sopravvissuti e familiari. Una scelta eloquente anche se fatta più di silenzi che parole. Nel palazzetto dello sport per cominciare, con a fianco soltanto il prefetto di Crotone, Maria Carolina Ippolito. Una scelta non casuale perché il prefetto sul territorio rappresenta lo Stato, non una parte politica. Presidente e prefetto, fianco a fianco, lo Stato italiano che rende omaggio, prega e si scusa per ogni morto.

Un gesto che, alla loro maniera, hanno voluto fare i sindaci crotonesi, inginocchiati accanto all’arcivescovo Raffaele Panzetta e all’imam Mustafa Achik, all’apertura della camera ardente. Lo hanno fatto indossando, tutti, la fascia tricolore che ricorda il loro importante ruolo. Anche loro lì rappresentavano il Paese, quella parte che con onore amministrano. E che in quel momento – lo hanno sottolineato – con loro pregava e con loro chiedeva scusa. Sindaci che hanno ringraziato Mattarella per la sua presenza, il suo gesto, sottolineando invece l’assenza e le parole storte di esponenti del governo. Sindaci espressioni di diverse maggioranze, ma uniti dalla fascia tricolore e da quel semplice ma fortissimo gesto di inginocchiarsi. Politica come carità, cioè come partecipazione appassionata.

Non a caso quei sindaci della Locride e del Crotonese amministrano comunità povere ma esemplari nell’accoglienza, senza clamore, gestendo con disponibilità e efficacia il crescente flusso migratorio su queste coste. È la bella Calabria che, come abbiamo scritto più volte in questi mesi e anni, non fa notizia. È la buona politica dei gesti concreti che, però, ora chiede al governo più attenzione e meno slogan taglienti e inutili. Non chiede muri o più polizia, e non vuole la retorica dei porti chiusi, ma occhi aperti e visione acuta e giusta. Chiede che la strategia dei controlli e dei soccorsi in mare torni a essere quella – umana e civile – che per anni ha evitato tragedie. Una strategia che salva, non puramente securitaria. Che chiede pensieri, strutture e fondi per un’accoglienza ancora migliore, utile alle persone e all’Italia.

Questa è politica. Una politica ancora e sempre incarnata in figure degne, e che non va lasciata sola. Ce lo ha ricordato con chiarezza e discrezione il presidente Mattarella, che con la sua presenza ha portato la prima e più alta delle risposte alle domande che salgono “dal basso” e che , si può starne certi, quelle fondate richieste porterà al governo. Perché dopo le parole sbagliate e i giusti gesti di pietà arrivino, in Italia e in Europa, decisioni concrete.

Quelle che servono davvero per un serio governo dell’immigrazione. Il Presidente della Repubblica e i sindaci calabresi hanno dato un forte segnale. Ora tocca ad altri.

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