Quest’anno la scuola comincia con Cristiano Ronaldo che non ha ancora segnato e con gli echi del matrimonio 'Ferragnez'. Comincio questo pezzo mischiando «gli asparagi all’immortalità dell’anima», come direbbe Achille Campanile, perché sono convinto che risparmiare alla scuola la retorica sulla scuola sia un dovere che alunni, professori e personale scolastico al completo esigano da tutti noi. Parlo della retorica intesa come vuoto apparire, come sfoggio dell’inutile, come quella sostanza di cui è intrisa – appunto – la preoccupazione per CR7 che non va in gol o per il bisogno di parlare – bene o male non importa – di chi ha avuto il merito o la colpa di trasformare Noto nella Hollywood nostrana.
In un settembre che comincia con simili fuochi d’artificio, avverto più che mai, parlando di scuola, il pericolo della retorica. Si rischia di fare un racconto finto poetico su come sia bello girare nelle aule vuote immaginando gli alunni che le occuperanno, di come si è entusiasti o trepidanti nel partecipare allo spettacolo di vite che cercano di esserci all’appuntamento col proprio destino, ma che invece, forse, quell’appuntamento lo mancheranno. Un articolo sulla scuola che comincia rischia di essere un discorso solo pedagogico, solo politico, solo sulla bontà di una legge che c’è o manca, su quale sia l’ennesima riforma da fare o da far fallire, se sia giusta o no l’alternanza scuola-lavoro e così via. Non sono temi oziosi ma, se per esempio non siamo politici, sono argomenti lontani dalla nostra vita vera e rischiano di essere sterili, senza prospettiva.
Magari diciamoci invece che a Roma i cassonetti delle immondizie che si trovano vicino alle scuole straripavano di libri di testo vecchi ma nuovissimi. Libri che l’anno scorso le scuole romane adottavano, a settembre di quest’anno non valgono più nulla, neanche usati, perché le scuole ne hanno scelti altri. Visto come funziona l’Ama a Roma credo che in qualche caso i cassonetti siano ancora pieni e quindi chi abita nella capitale può fare una verifica, passare per esempio da Lungotevere Oberdan, meta storica dello scambio di libri usati, e scoprire che le vere domande della gente non sono più su Ronaldo che non segna o sul duo Ferragni/Fedez, ma su quale sia il motivo per cui i libri comprati undici mesi fa non si riescono a passare a un altro figlio o al vicino di casa. Perché un libro di testo identico nel titolo, nell’autore, nella copertina è da buttare solo perché il numero identificativo è diverso? Che cosa non lo rende più rivendibile o riutilizzabile da un altro figlio? Chiedi «perché c’è un codice diverso?» e ti rispondono: «Perché, signora (o signore), nella nuova edizione c’è il Cd»; «perché nella vecchia edizione non c’è il fascicolo con le figure geometriche»; «cambia solo l’ultima parte con le tavole, signore, ma il codice non corrisponde più, che fa? Lo prende lo stesso?».
Non ti chiedi più per quale ragione Alitalia ha fatto un volo ad hoc per i 'Ferragnez', ma se il Garibaldi dell’anno scorso è diverso da quello di quest’anno. Perché il teorema di Pitagora del 2017/18 non va più bene per il 2018/19? E perché un libro di matematica l’anno successivo è diviso in tre manuali incellofanati insieme (uno di teoria, uno di esercizi e uno di approfondimenti)? Stesso autore, stessa grafica e titolo, ma da un testo, tre con il triplo dei soldi. Perché? Ma non c’erano dei tetti di spesa per il caro-libri? Non c’erano dei tempi scolastici obbligatori duranti i quali un libro di testo non poteva essere cambiato. Ci sono ancora?
Quanta carta di ottima qualità, lucida e pesante, sprechiamo per stampare e buttare a giro di posta tutti questi colorati e disegnati libri di testo? Cosa hanno da dire i platani di Lungotevere Oberdan che vedono i cadaveri di tanti loro fratelli alberi nei cassonetti perché «il codice identificativo del libro, signora, non corrisponde»? Sono lontani i tempi di Ronaldo e dei 'Ferragnez', sono nei ricordi dell’estate insieme alla retorica sui massimi sistemi scolastici. È ricomparso il tema principe: quello del 27 del mese che è tornato a essere distante quanto un anno. Sì, un mese lungo un anno. Va beh, forse un anno no: ma un quadrimestre di sicuro sì.