Caro direttore,
per oltre vent’anni nel Ceis di Catanzaro e per altri dieci come presidente della Fict ho visto persone, donne, uomini e adolescenti, bussare alle nostre porte per chiedere aiuto, ho visto fragilità spesso estreme: storie di droga, di violenze, di povertà, di disagi di ogni genere. E ho visto anche il lavoro di tanti operatori, educatori, psicologi, volontari schierati dalla parte della vita, della solidarietà, della gratuità. Il credere nei valori, il testimoniarli con le azioni, il mettersi in gioco quotidianamente e insieme continuano a essere un modello di cura in chi, per un periodo della sua vita, si è rinchiuso nelle dipendenze.
Sono anni difficili, anni in cui la crisi morde in maniera cruenta. I recenti fatti di cronaca: Sara, Pamela, Desirée... sono schiaffi al mondo degli adulti, alle nostre incapacità e alle nostre inadeguatezze. Ma resteranno tragedie senza senso se non riusciamo e proviamo a dare risposte. Sempre più spesso si parla di droga, di alcol, di psicofarmaci, di devianza solo di fronte alla morte dei nostri ragazzi. E tutta la società civile e politica si chiede il perché...
Nessuno si può sentire assolto e abbiamo il dovere di sconfiggere la tendenza sociale e culturale a “normalizzare” tutto, questo clima di resa generalizzata che certifica la sconfitta contro le dipendenze e il disagio, che altro non è che l’anticamera del disimpegno. Siamo testimoni di un costante aumento di abuso di sostanze fra i nostri giovani. Nel 2017 si contano 294 morti per overdose per sostanze legali e illegali e 148 ragazzi morti a causa dell’eroina. Non è un caso che sui 140mila tossicodipendenti in trattamento, 120mila abusano di eroina quale sostanza primaria. Il nostro modello di cura – ormai vetusto e ancora fondato sulla sostanza, invece che sulla persona – non è più capace di rispondere con efficacia. Corriamo il pericolo di non saper leggere e monitorare il disagio dei nostri ragazzi, e la politica che sembra aver abdicato al proprio ruolo, considerando uso e abuso di sostanze e dipendenze come un male necessario del nostro tempo.
Tutto questo mentre gli ultimi dati dei sequestri mostrano in modo chiaro un fenomeno in costante e rapida evoluzione, con un aumento certificato di cannabis, eroina e droghe sintetiche. Oltre 4 milioni di italiani nel 2017 hanno utilizzato almeno una sostanza stupefacente illegale e, di questi, mezzo milione ne fa un uso frequente, confermando tristemente i dati del 2016. E posso affermare, anche come ex presidente delle Fict, che l’Italia può tranquillamente vantare una rete di assistenza tra le più strutturate ed efficienti in ambito europeo, anche se, purtroppo, ancora oggi, è poco riconosciuto il valore dei nostri servizi, che lavorano con una normativa che risale a 30 anni fa. Il sistema ufficiale riesce a rispondere solo alle cosiddette dipendenze “classiche” e ancora molto c’è da fare sul fenomeno delle dipendenze patologiche, che si è fortemente evoluto negli ultimi anni soprattutto fra i giovani. Giovani che il sistema “classico” dei servizi fatica enormemente a intercettare.
È incredibile come sia facile trovare le droghe e assumerle nell’indifferenza di tutti. Perché purtroppo la droga è entrata nel limbo del disinteresse politico, culturale e sociale. E dobbiamo aspettare tragedie annunciate di cronaca per ricordarci che dietro quei numeri, dietro le statistiche, ci sono volti e storie, morti inutili e strazianti. Quanti ragazzi dovremo ancora raccogliere da terra? Quante vite dovremo ancora sacrificare? Dobbiamo tornare a investire in percorsi educativi e di prevenzione. I giovani vogliono sentirsi protagonisti della storia che vivono e abbiamo il dovere etico e civile di rimetterli al centro delle nostre azioni politiche. La sfida educativa è la chiave di volta del futuro ed è necessario tornare a svolgere il nostro ruolo di educatori “connettendoci” alla sfera emotiva dei nostri figli.
Ci vuole una scelta coraggiosa, che rimetta al centro del dibattito la persona con i suoi bisogni. In una società orientata al successo, schiava dell’immagine e di un’economia totalitaria, in cerca di superuomini, dobbiamo tornare a educare i giovani alla consapevolezza e alla accettazione della propria fragilità come strumento di conoscenza di sé. Ogni attore torni, quindi, ad assumere la responsabilità del futuro dei nostri ragazzi, tornando ad essere credibile. Non è più accettabile che, come accade da ormai oltre dieci anni, non vi siano più fondi specifici su prevenzione ed educazione! Così come non è possibile che non si convochi da oltre 9 anni la Conferenza nazionale sulle droghe, luogo che la legge impone di riunione ogni triennio e unico deputato a consentire e attualizzare la lettura del fenomeno e a condividere le linee di intervento future.
Gli operatori che ogni giorno lottano sui territorio, nell’indifferenza generale, hanno diritto di essere sostenuti ed ascoltati. Come Chiesa non possiamo non farci carico delle fatiche e della ricerca di senso dei nostri ragazzi, tornando ad abitare la strada. Invito le Istituzioni ad assumersi un impegno chiaro sulle dipendenze e a uscire da questa logica di normalizzazione del disagio e della droga per tornare ad ascoltare i giovani creando presidi educativi e formativi. “Ricerca, prevenzione e ascolto” sono i temi imprescindibili e non più procrastinabili.
Vescovo di Cerreto Sannita, Telese e Sant’Agata De Goti