L’invito a gettare la rete in mare appare del tutto controcorrente in un contesto legislativo dove per anni si è cercato di scoraggiare la pesca, incentivando le rottamazioni e non favorendo il ricambio generazionale. Gesù risorto esorta i discepoli («Gettate la rete »: Gv 21,6) a rinnovare il gesto come impegno per ogni stagione, come suggerisce il Messaggio del cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, in occasione della Giornata mondiale della pesca che ricorreva ieri. Il lavoro del pescatore ha una sua dignità e va salvaguardato come esperienza di cura del mare. L’immagine che può rappresentare oggi il comparto della pesca può essere quella delle reti spezzate. Quando si riassettano al termine di una battuta di pesca è normale che vi sia qualche strappo. Per questo occorre intervenire per riparare, ricucire, risistemare. Significa che nulla è perduto per sempre, ma che si può correre subito ai ripari, con tempestività, per tornare al lavoro. Se non si interviene, non si può neanche riprendere l’attività professionale.
L’immagine apre alla speranza. Ciò che avviene abitualmente nei porti durante il lavoro dei pescatori deve guidare la cura pastorale e l’attenzione sociale: partiamo dall’analisi della condizione professionale. C’è preoccupazione, perché in molti Paesi non si riesce a ri-conoscere come usurante il lavoro del pescatore, sottoposto a stress come pochi. La situazione futura, soprattutto alla luce della crisi climatica in cui ci troviamo, non è purtroppo destinata a migliorare. Eppure, anche di fronte alla drammatica situazione, non ci possiamo rassegnare. È il momento di correre ai ripari, promuovere maggiore sicurezza, ma ciò è possibile solo se eleviamo il livello della consapevolezza della dignità delle persone. I pescatori sono una categoria che merita tutta l’attenzione perché il lavoro in mare impatta sulla psicologia delle persone. L’incertezza climatica rende ancora più complicata la loro attività. La proposta è di aprire un cantiere di riflessione e di cambio di mentalità culturale. I porti sono un laboratorio privilegiato per mettere a fuoco le problematiche della pesca. Il ricambio generazionale pone interrogativi preoccupanti circa il domani delle comunità di pescatori. In Italia, ad esempio, solo il 10% dei pescatori è giovane. L’inquinamento ambientale condiziona la stessa sopravvivenza della pesca: la presenza di specie aliene in diversi mari è una realtà irreversibile. Per ragioni economiche molti pescatori lasciano un lavoro trasmesso da generazioni: non si tratta solo di perdita di posti di lavoro, ma ancora di più di competenze che si tramandano di padre in figlio. C’è una ricchezza di valori, di umanità professionale che rischiamo di buttare a mare.
Alcune città rischiano di perdere una risorsa sociale ed economica che da secoli le caratterizza: la vocazione marinara non si è improvvisata nella storia, ma ha richiesto sacrifici, investimenti e notevole impegno. Non possiamo accettare che il mestiere del pescatore sia presentato come un lavoro svilente e umiliante: questo pessimismo culturale è l’anticamera della chiusura. «Chi me lo fa fare?», diventa la domanda ovvia nella testa di un giovane. C’è una rivoluzione culturale da operare in questo momento. Dobbiamo fare in modo che i pescatori siano orgogliosi del loro lavoro e lo vivano come una vocazione: si sentano valorizzati e trovino sostegno umano e spirituale. Non aiuta il ritornello che li colpevolizza come i distruttori del mare, quasi che il loro lavoro debba essere mal sopportato. È molto meglio accompagnarli, come ha fatto Papa Francesco con alcune marinerie che spesso cita nelle sue interviste pubbliche, affinché si sentano responsabili del mare, come luogo e ambiente di vita, come opportunità e futuro. I pescatori ci possono raccontare cosa sia la fede, tanto più in un contesto di crisi climatica come l’attuale, dove la concorrenza spietata e lo sfruttamento delle risorse ittiche da parte di pescherecci provenienti da Paesi o continenti senza normative di salvaguardia dell’ecosistema hanno conseguenze negative su tutto il comparto. È fondamentale conoscere la tracciabilità del prodotto che arriva in pescheria o al supermercato. Le vendite sottocosto sono un continuo promemoria che spesso rischia di calpestare la dignità dei lavoratori, ridotti a schiavi o sottoposti a ritmi vorticosi. Non va mai dimenticato: il cibo buono è anche il cibo giusto.