Dopo i mesi della responsabilità, durante i quali abbiamo sopportato privazioni e sacrifici per un bene più alto, quello della tutela della nostra salute e di quella della comunità di cui facciamo parte, è finalmente arrivata la stagione della libertà, una conquista meritata che permette di riassaporare il piacere della vita e di quelle relazioni di cui deve nutrirsi proprio il valore che abbiamo protetto con metodo e sacrificio.
In questo passaggio era inevitabile che si verificassero eccessi e strappi alla regola della prudenza: diversamente, forse, non potremmo dirci totalmente umani, come sembra testimoniare proprio l’esuberanza e la sfacciataggine con cui le generazioni più giovani ora paiono voler reclamare la riconquista di uno spazio fisico e sociale che la natura per diritto riserva loro. Il passaggio dalla fase della responsabilità, cioè dei limiti, a quella della libertà, ovvero del superamento dei confini, non è tuttavia qualcosa che può avvenire senza una riflessione su quanto abbiamo imparato, distruggendo di colpo la mappa della convivenza tracciata con tanta attenzione in una fase di drammatica emergenza sanitaria, o sfasciando l’edificio che abbiamo costruito con tanto impegno a protezione di tutti.
Il virus non è morto, c’è, è vivo, circola ancora tra di noi. Stiamo meglio e ci ammaliamo in modo meno grave anche perché ci stiamo proteggendo, perché tanti continuano a fare esercizio del proprio senso di responsabilità. Ma focolai di contagi, come era prevedibile, si stanno ripresentando un po’ ovunque anche in Italia e non solo in molti Paesi del mondo.
La cerimonia del ventaglio - Ansa
Una rimpatriata di ex compagni di classe, un luogo di lavoro nel quale si sono allentate le regole, una festa tra parenti, un assembramento non controllato: oggi siamo più preparati nell’affrontare l’emergenza, ma non possiamo lasciare che il desiderio di evasione faccia dimenticare tutto quanto è stato, almeno in una parte del Paese: la sofferenza, il terrore, i familiari e gli amici morti, il buio esistenziale, la perdita di posti di lavoro, la fame che molte famiglie hanno incominciato a patire e che conosceranno nei prossimi mesi.
In questo senso, le parole che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha pronunciato ieri durante la Cerimonia del Ventaglio, davanti ai rappresentanti della stampa, arrivano nel momento giusto e sono il necessario richiamo a fare tesoro di tutte le lezioni che il Covid ha impartito, per guardare ai prossimi mesi con la serenità di cui una comunità ha bisogno. La «rimozione delle esperienze sgradevoli», ha notato il Capo dello Stato, la «tendenza a dimenticare», poteva essere prevista in qualche modo, ma non era immaginabile arrivasse così presto, «mentre continuano a morire persone per il virus».
In poche frasi Mattarella ha consegnato ai cronisti - celebrando il servizio e ruolo fondamentale dell’informazione professionale e di qualità - una lista di impegni, valori e prospettive che dovremmo custodire e rileggere ogni giorno per i tempi a venire. Ha ricordato le esperienze di «preziosa e reciproca solidarietà» che ha unito i popoli, gli aiuti di cui ha beneficiato e beneficerà il nostro Paese, il «cambio di paradigma politico e istituzionale» dell’Unione Europea, fino a pochi mesi fa «inimmaginabile».
Ha indicato nella ripresa regolare della scuola l’«obiettivo primario» cui deve tendere ora la nazione, significato di un futuro che possiamo darci assicurando la migliore istruzione e una formazione di qualità alle giovani generazioni. Un tesoro di consapevolezza che non può essere disperso ora semplicemente perché rischiamo di confondere il significato del termine libertà, nell’illusione che la responsabilità sia solo un banale accessorio. Dietro una fake-news sull’indebolimento del virus, dietro un desiderio di visibilità nutrito con manifestazioni provocatorie, dietro la pubblicità gratuita conquistata con esibizioni pubbliche di protervia o spavalderia, dietro la fabbrica dell’irresponsabilità pubblica che sta tornando operativa a pieno ritmo, non ci sono solo altri possibili malati, ricoveri o altri morti, ci sono nuove paure, negozi e locali che richiudono, attività che rallentano, disdette che piovono. Ci sono nuovi confini e nuovi muri che rischiano di alzarsi.
Gli italiani hanno dimostrato, nella difficoltà, di saper rispondere con coscienza e di ottenere grandi risultati. I dati dei contagi di queste settimane, nel confronto mondiale, lo dimostrano abbondantemente. Abbiamo appreso che possiamo tornare a vivere e declinare pienamente il nostro desiderio di libertà, semplicemente con qualche piccola accortezza in più. Niente di impossibile né di intollerabile. L’importante è ritrovarsi a parlare lo stesso linguaggio. «Imparare a convivere con il virus - ha detto il Presidente della Repubblica - non vuol dire comportarsi come se il virus non ci fosse più», e soprattutto «non bisogna confondere la libertà con il diritto di far ammalare gli altri». Libertà, responsabilità, comunità: c’è un lessico capace di unire, troviamo il modo per custodirlo.