«Privati delle gioie dell’infanzia a causa della fame, delle guerre, dell’egoismo degli adulti». Si chiude così, con questo pensiero per i bambini, l’augurio di Natale del Papa. L’augurio di pace è interamente scandito dalla puntuale evocazione dei luoghi in cui la violenza destabilizza ogni convivenza.
Sono luoghi dove la vita quotidiana e la violenza ordinaria non hanno più confini che le distinguano: non solo fra le strade e le case, ma anche fra il cuore e la mente, paralizzati dall’orrore del male e inchiodati al timore del peggio. Luoghi dove la rassegnazione e il risentimento si scavano un posto nell’anima fin da piccoli, dove può entrare di tutto e uscire di tutto. (Molti altri ce ne sono di questi luoghi, inudibili e invisibili come buchi neri, dai quali uomini, donne e bambini, non hanno neppure la forza di far arrivare fino a noi il loro pianto. Dipendiamo anche dalle scelte dei contastorie). Dove è cominciato questo attacco ai sentimenti fondamentali della convivenza, che ci sta togliendo fiducia persino nelle istituzioni e nei legami che devono renderla possibile? E come dobbiamo reagire a questo avvelenamento dei pozzi della comunità umana?
L’emancipazione del puro carattere distruttivo, che non ha più nessuna compassione per i bambini, si prepara la strada attraverso l’esaltazione culturale della volontà di potenza. Il contagio di questo virus è globale, indifferente alle diversità culturali e religiose dei popoli: la riuscita di quello in cui credi, di quello che desideri, di quello che vorresti essere, troverà conferma solo nella distruzione di un altro.
Se non riusciamo a mettere una zeppa, tanto forte da non poter essere rimossa, sul percorso di questa assuefazione, il passaggio dal delirio verbale all’aggressione fisica imparerà a riprodursi su vasta scala, senza incontrare resistenza. L’appello di Papa Francesco, che visualizza con inusitata precisione l’odierna filiera della minaccia globale dell’odio, che sgretola i presupposti stessi della pace, ci appare all’altezza dell’emergenza attuale. Nella congiuntura mondiale dei popoli, il vento furioso e irrazionale dell’odio puro e semplice cerca il suo passaggio attraverso le crepe degli errori e delle paure che hanno indebolito la nostra vigilanza sui fondamentali della vita di comunità. La nostra tolleranza di espressioni verbali e di stili di comportamento aggressivi e sprezzanti è stata ingenua e irresponsabile. L’odio, quando è tollerato, non ascolta più ragioni né religioni. Quando Gesù dice che "stupido", detto con cattiveria, va stroncato con la stessa determinazione con la quale si difende il quinto comandamento, non dice una battuta. Non è una metafora, è una rivelazione.
Non si devono fare distinzioni, con l’odio. L’amore e la compassione non sono tolleranti con l’odio, non vengono a patti, non gli lasciano ragione né religione. È l’assoluto di Dio questo, secondo l’inaudita parola evangelica che spiega Dio e il mondo. E ci riconsegna la forza necessaria al disincanto che deve restituirci a noi stessi.
Noi possiamo trovare la forza per sbarrare la strada ai fondamentalismi disumani che corrompono la politica, l’economia, la religione medesima. Noi possiamo esigere che la città moderna sia governata a misura di bambino: impedendo l’accumulo di spazzatura, non solo consumistica, ma anche mediatica, politica e culturale. Noi possiamo avere un soprassalto di tenerezza e di orgoglio, ricomponendo l’alleanza dei figli adolescenti con la funzione educativa della scuola e del lavoro. Noi possiamo pretendere che i nostri figli non siano così platealmente esposti all’ignoranza, alla volgarità, alla prepotenza che inquinano lo stile della rappresentanza della comunità. Noi possiamo togliere acqua e aria al degrado delle forme di comunicazione che agevolano l’emancipazione e la circolazione della prepotenza organizzata. Non c’è libertà di espressione, per l’odio.
Non sia soltanto un augurio, per l’anno che incomincia. Sia anche una promessa forte come un giuramento davanti a Dio, sulla testa dei nostri figli. Papa Francesco ha preparato il terreno per questa rivoluzione della tenerezza, contro l’odio, con una tenacia di cui forse soltanto ora incominciamo a scorgere la radicalità e l’urgenza. Essa ci raggiunge come un augurio e come una benedizione dall’alto, che apre i nostri occhi alla fede operosa e alla coraggiosa speranza che ci sono più che mai necessarie. Buon anno nuovo.