Sta finendo un anno scolastico particolare. Visitato da una specie di voragine che ha inghiottito abitudini, compagnie, lezioni normali, e tutto quel che molti giovani si aspettavano di vivere come fine anno, emozioni, commiati etc. In cambio sono stati dati mesi strani, segnati da una clausura forzata e dalla convivenza in casa coi propri familiari. 'Scatto di famiglia' è il concorso che allora hanno lanciato le energiche suore che animano il Centro Asteria, un polo di attività culturale e sportiva milanese in cui ci si propone di abbattere barriere (architettoniche e non solo) e superare le differenze sociali. Una realtà vivacissima, da cui passano ogni anno 35mila giovani da tutta Italia. Con il concorso, a cui hanno aderito con poesie e racconti e testimonianze centinaia di studenti, il Centro Asteria ha dato la possibilità di sondare, al di là di notiziari, inchieste sociologiche e giornalistiche, l’animo dei ragazzi in questo stare a casa coi propri familiari in modo così stringente e nuovo.
Ne sono usciti elaborati bellissimi e inventivi. «Io e la mia famiglia siamo partiti su una nave di circa 130 metri quadrati»: inizia così il racconto del vincitore, Lorenzo Bruno Terruzzi. Molte le scoperte raccontate, dentro la generale conferma che il legame di sangue e di affetto, la famiglia, costituisce una sicurezza, in un mondo segnato con così ulteriore forza da un senso di precarietà e di incertezza, e addirittura di pericolo. Ragazzi di ogni tipo e di ogni cultura, capaci senza troppo disagio di adattarsi a una situazione inedita, persino con una certa condiscendenza, muniti di strumenti di apprendimento a distanza e di intrattenimento fornito facilmente e massivamente da network e piattaforme di molti generi. Nei molti elaborati non sembra se non raramente far capolino un vivo senso drammatico per quel che succede 'là fuori', né una particolare voglia di interrogarsi sui motivi o sugli scenari nuovi. Semmai trapela la 'sorpresa' di nuove complicità con fratelli e sorelle; il gusto di godersi un po’ i genitori, con pregi e difetti, ma vicini, oppure i legami con gli antenati prossimi, i nonni, soggetti di racconto; l’occasione di verificare la propria capacità, appunto, di adattamento. Dio non compare mai all’orizzonte, e se una domanda serpeggia è intorno a come usare e organizzare il tempo a disposizione cercando di non spegnersi.
Ed è questo il punto in cui, a mio avviso, pur se mai appare una inquietudine apertamente religiosa e nemmeno una domanda di natura sociale – elementi ormai scomparsi dall’orizzonte educativo anche a causa della retorica di opposto segno di cui sono spesso avvolti, fino a soffocarli – si fa largo la domanda che sotto il pelo dell’acqua preme nei petti lucenti e oscuri di questi ragazzi. Una domanda su come impegnare davvero la propria vita, sospesa tra apparenti infinite possibilità offerte da strumenti e abilità e i limiti posti da condizioni e situazioni vitali spesso anguste. Una domanda di impegno forte, ricco, a cui spesso gli adulti non riescono che a rispondere con l’offerta di comfort e intrattenimento. Ma tale offerta non incrocia forse il cuore di questi ragazzi che sta sotto la superficie, e quando, come nel caso del concorso del Centro Asteria, può emergere e parlare, lo fa con disarmata semplicità. Indicando pochi elementi come centrali e con una domanda vaga, occulta, inquietante, sfuggente. Così anche dalla voragine aperta da una circostanza inaspettata ci guardano questi occhi del nostro futuro e del nostro sangue. Incomprensibili e meravigliosi. E ci chiedono un compito, da cui sfuggire si può solo non avendo cuore. Cosa che invece occorre, oggi così più urgentemente.