La campanella che torna a suonare nei nostri istituti scolastici resta tristemente muta per la prima volta in 103 anni nella Scuola italiana di Asmara. Al più grande istituto di istruzione italiana all’estero, che l’anno scorso contava circa un migliaio di allievi tra primaria e secondaria di primo e secondo grado (il 10% italiani), il regime eritreo ha infatti revocato la licenza e dunque Roma ha sospeso almeno formalmente l’attività didattica. Sarà difficile togliere quei sigilli.
È una notizia brutta, un duro colpo al softpower italico nell’area, hanno annotato alcuni analisti, proprio in un momento in cui cresce la domanda di Italia e di italiano in tutto il mondo. A noi pare soprattutto una ferita nell’amicizia (in molti casi parentela e fratellanza) tra due popoli uniti da 120 anni di storia. Non si tratta del legittimo rifiuto di un lascito coloniale italiano da parte degli ex colonizzati. La scuola era infatti sopravvissuta alla perdita italica dell’antica «colonia primigenia» nel 1941. E a, mettere in fila gli anni di attività, questa istituzione ne ha passati di più, e senza essere messa in discussione, sotto le diverse amministrazioni succedutisi – quella coloniale britannica, quelle etiopi (prima del negus Hailè Selassiè e poi quella del 'negus rosso' Menghistu e infine la quasi trentennale dittatura di Isayas Afewerki – che non sotto quella coloniale italiana. Tra gli anni 50 e 60 del secolo scorso, in cui la nostra comunità contava decine di migliaia di persone, qui studiava la 'meglio gioventù' dei due popoli preparando la classe dirigente, i quadri, i burocrati, i geometri che hanno alimentato il piccolo boom eritreo dell’epoca.
Del passato coloniale e post coloniale resta la fornita biblioteca ed emeroteca dell’Istituto (anche se inferiore a quella dei pavoniani alla periferia della capitale). Dopo l’indipendenza eritrea i programmi scolastici sono stati riveduti e concordati con il primo governo nazionale, ma lo studio della nostra lingua e cultura è rimasto centrale. Saltiamo al passato prossimo, quando nascono i problemi che hanno soffocato la scuola. Gli errori italiani sono stati diversi. Nella definizione della commissione tecnica italo-eritrea il nostro Paese è stato, ad esempio, inadempiente. Amnesia e indifferenza.
Poi sono arrivati i tagli e la riduzione degli istituti scolastici all’estero decisi e attuati dai governi Renzi e Gentiloni e proseguiti dai due governi Conte hanno contribuito a svuotare l’Istituto del personale italiano. Da tempo il problema erano le cattedre scoperte, a scapito della qualità. I problemi che avrebbero irritato il regime asmarino durante l’emergenza Covid paiono tuttavia pretestuosi. La preside italiana che ha deciso l’avvio a marzo della didattica 'a distanza' senza preavvisare il governo ha solo anticipato di poco l’analoga scelta del Ministero dell’Istruzione eritreo.
Da quel momento la situazione è precipitata, con la revoca secca da parte della Presidenza dell’Eritrea della licenza e il recesso dell’Accordo tecnico bilaterale del 2012. Gli allievi eritrei non hanno sostenuto la maturità come i loro connazionali: tutti arruolati. Il premier Conte ha scritto al presidente Afewerki senza ottenere risposta, e così la viceministra degli Esteri Marina Sereni lo scorso giugno ha incontrato l’ambasciatore eritreo in Italia per chiedere spiegazioni. Ma la disponibilità italiana a un chiarimento si è scontrata contro un muro di gomma. La Farnesina teme che dietro la crisi ci sia l’intento di nazionalizzare l’istituto, un’eccellenza nel panorama desolante del Paese poverissimo, come dimostrano atti unilaterali quali ispezioni e sigilli alle aule e l’invito fatto l’anno scorso agli studenti eritrei a iscriversi in altre scuole.
Il regime, che un anno fa ha chiuso alcune scuole cattoliche, a due anni dall’accordo di pace con l’Etiopia rimane chiuso e autocratico e non ha eliminato il servizio di leva a vita che continua quindi a provocare l’esodo sulle rotte migratorie più pericolose del pianeta dei giovanissimi eritrei con costi umani elevati. Occorre tornare a dialogare anche per non abbandonare un popolo ulteriormente impoverito dalla pandemia. Come chiedono in tanti, la scuola italiana della 'piccola Roma' deve perciò riaprire, perché simbolo di amicizia e cultura e ponte sul futuro di un pezzetto di Africa che ha un’anima meticcia e ancora molto italiana.