La tragedia che volge in farsa è sempre un triste spettacolo. E la vicenda del re emerito di Spagna non fa eccezione. Oggi vediamo Juan Carlos di Borbone che, a 82 anni e dopo trentotto anni sul trono (dal 1975 al 2014), lascia l’Europa tra i lazzi e i fischi, come un maneggione qualunque, alla ricerca di un ultimo rifugio dal fisco, dai magistrati e dalla vergogna.
Non si tratta, ovviamente, di versare lacrime per l’istituzione monarchica o, peggio, di compatire un personaggio che, in età più che matura, è passato da uno scandalo all’altro, coprendo di fango il rango e il ruolo. Colpisce, piuttosto, lo spreco, la dissipazione di un destino personale che pure portava le stimmate del dramma e di un’immagine pubblica non priva di bagliori di grandezza.
Juan Carlos, nato nel 1938 a Roma, è stato un re per caso. Non era destinato al trono, fu la Storia a portarcelo. Il re Alfonso XIII, ostile al Fronte Popolare ma inviso a Francisco Franco, aveva abdicato nel 1941 a favore del proprio quarto figlio Giovanni, conte di Barcellona, l’unico che potesse garantire alla dinastia prole legittima. Nel 1947 il caudillo Franco aveva proclamato la monarchia e si era garantito il ruolo di reggente. Così, nel 1969, avvertendo la stanchezza della salute e del potere, decise di nominare un re che potesse succedergli. Alla fine indicò Juan Carlos, e non suo padre Giovanni. Ma solo dopo aver interpellato l’arciduca Ottone di Asburgo-Lorena, che declinò l’invito.
Il giovane re non aveva alcun peso politico e nessuna influenza sul Paese. Aveva, però, una biografia illuminata da lampi scespiriani. Nel 1956 suo fratello Alfonso era morto per un colpo di pistola partito mentre puliva l’arma, anche se alcune ricostruzioni sostengono che l’arma fosse invece tra le mani di Juan Carlos. E nel 1967 era salito alla ribalta delle cronache perché a Montecarlo, durante il Gran Premio di Formula 1, si era lanciato in pista per soccorrere il pilota Lorenzo Baldini, intrappolato nella sua Ferrari in fiamme dopo un incidente.
Un graffito del re di Spagna che lascia la Spagna - Ansa
È negli anni Settanta, però, che dietro al re inutile e mondano sembra affacciarsi una figura di ben altro spessore. Nel 1973 il sempre più malato Franco lo nomina capo di Stato supplente, carica che esercita per brevi e intermittenti periodi fino alla morte del dittatore, avvenuta il 20 novembre del 1975.
Per alcuni anni, in quel periodo, re Juan Carlos sembrò, e in effetti fu, una figura decisiva per la transizione della Spagna dal franchismo alla democrazia. Ebbe grande peso nell’approvazione della nuova e tuttora vigente Costituzione (1978). Mostrò decisione e senso dello Stato quando si trattò di bloccare il tentativo di colpo di Stato militare guidato dal colonnello Antonio Tejero (1981). Forse l’uomo, a quel punto, aveva dato tutto, corona o no.
Ancora qualche anno dignitoso, poi un declino sempre più rapido e sfacciato. Le amanti, le partite di caccia grossa, gli scandali finanziari, la corruzione diffusa intorno al trono (Cristina, sorella maggiore dell’attuale re Filippo VI, accusata di sottrarre denaro pubblico verso le imprese del marito), il cattivo gusto non più fuggito ma esibito. Fino all’abdicazione a favore del figlio, salito al trono come Filippo VI, vista ormai dalla gran parte degli spagnoli come un atto dovuto.
Adesso Juan Carlos scappa all’estero. Decisione accolta con freddezza dal successore, che da tempo aveva rinunciato all’eredità paterna per non essere coinvolto negli scandali. Con malcelato sollievo dai partiti moderati di Governo. Con disprezzo da quelli di sinistra. La pietra tombale della dignità di Juan Carlos è stata una mega-tangente da 100 milioni di dollari, ricevuta dai sauditi per la sua mediazione volta a ottenere uno “sconto” dal consorzio spagnolo incaricato di costruire la ferrovia ad alta velocità tra la Mecca e Medina.
Tangente che l’ex re avrebbe poi in gran parte girato a un’amante nell’intento di riconquistarla. Qui la farsa tocca il fondo e davvero non c’è nulla da aggiungere. La fuga di Juan Carlos non può essere nobilitata con la parola “esilio” e in ogni caso arriva troppo tardi. In un Paese dove il senso unitario della corona era spiccato quanto nel Regno Unito, il danno è serio, forse irrimediabile. Con soddisfazione dei separatisti catalani, che pensando al re pensano al potere centrale di Madrid. E dire che il motto della corona di Spagna è “Plus ultra”. Più in là, certo. Ma non in quel senso.