Vita e dolore che non hanno confini
mercoledì 7 ottobre 2020

Giace sulla spiaggia un corpo senza nome. Così, il cadavere di Priamo nelle commosse parole di Virgilio nel secondo Libro dell’Eneide. Un altro corpo senza nome è stato trovato adagiato ieri mattina tra i detriti trascinati dalla furia delle acque su una delle spiagge di Sanremo, dove fino a pochi giorni fa i turisti piemontesi prendevano ancora il sole. È l’ottavo ritrovato in Liguria, il quinto nella Città dei fiori, trasportato dalle correnti e dai venti che in questi giorni spirano da ovest.

Li ha trascinati a valle la furia della tempesta Alex che ha devastato l’entroterra di Nizza e Ventimiglia, terre unite da un dolore che non ha confini. Sarà uno dei due poveri anziani francesi la cui casa si è sfaldata sotto i loro piedi, trascinata da un fiume di fango? Sarà qualche italiano rimasto bloccato in un tornante di montagna? O magari un migrante senza nome, uno di quelli che tenta ogni notte di attraversare il confine accampato ai bordi del torrente Roya, che non rientra in alcun appello semplicemente perchè è un 'invisibile'? Solo l’esame del Dna potrà dare delle risposte, ma non ha importanza: quei corpi sono «Fratelli tutti», come scrive il Papa nella sua nuova Lettera enciclica. E questa volta lo sentiamo d’istinto, perché 'il cuore è senza confini'.

Come il mare che compie il suo pietoso compito cullando questi poveri corpi per adagiarli dove gli pare. La Val Roya da sempre è stata un confine naturale tra Francia e Italia, confine conteso più volte nel corso della storia, dai tempi del Regno di Sardegna sino alla Seconda guerra mondiale, per arrivare nel 1947 a un doloroso compromesso.

Ma, nonostante ciò, è sempre stato un confine fluido, sede di passaggi commerciali e flussi turistici importanti tra il Cuneese, il Ponente Ligure e il Nizzardo. Dal Piemonte arrivavano mercanzie, dalla Liguria partiva manodopera stagionale, verso la Granda e la Provenza, da Torino scendevano i pensionati con le seconde case in Riviera mentre sui passi più impervi salivano un tempo i contrabbandieri e i mercanti di sale e oggi, tanti uomini e donne in fuga dalle guerre e dalla fame per passare la frontiera. Secoli di storie di uomini e di «amicizia sociale» in una macroregione senza confini reali, definita Alpazur, comprendente le province di Cuneo e d’Imperia e la Costa Azzurra, che il trattato di Schengen sembrava finalmente aiutare a realizzare.

Ora la sua spina dorsale è stata ferita profondamente: il Col di Tenda non c’è più, sciolto dalle piogge, mentre il fiume ha morsicato e inghiottito vite, case e la splendida strada panoramica che tra lecci e castagni attraversava due volte il confine con la Francia portando dalle nevi di Limone Piemonte al sole della Riviera dei Fiori. Improvvisamente tocchiamo con mano quanto il confine sia un limite: fisico, ma ancor più umano, mentale, sociale. Oggi più che mai abbiamo bisogno di ponti e il confine tra la Francia e l’Italia negli ultimi anni è diventato un paradigma.

Da tempo a Ventimiglia si svolge un braccio di ferro tra le autorità italiane e francesi sulla pelle dei poveri viandanti che, in cerca di futuro Oltralpe, sgattaiolano di notte sull’autostrada rischiando la vita. Mentre negli ultimi mesi l’emergenza Covid-19 ha fatto il resto, impedendo prima ai francesi di entrare nel-l’Italia del lockdown e, da pochi giorni, agli italiani di passare nella Francia martoriata dal virus. Nel mezzo, con grande fatica e apprensione, stanno città come Ventimiglia e Sanremo che hanno bisogno del turismo francese e piemontese come del pane, e i 7.000 frontalieri dell’Imperiese che ogni giorno vanno a lavorare tra Montecarlo e Nizza, anche loro, come dice il Papa, «alla ricerca di un’opportunità per sé e per la propria famiglia».

Esattamente come centinaia di migranti e rifugiati degni di essere riconosciuti fratelli anche in questo. Siamo davvero 'tutti sulla stessa barca'. E questo e molto altro ci ricordano i corpi senza nome e senza volto, raccolti pietosamente in questi giorni da tanti «buoni samaritani » che provano pietà per questo «prossimo senza frontiere». Sono loro a farci capire che cosa significa prendersi cura della fragilità. Della fragilità del Creato ferito e della fragilità dei nostri fratelli. Quegli uomini e donne solidali, che abitano una stessa geografia della Terra e della vita e del dolore, colgono l’occasione – come dice papa Francesco – di dare «alla capacità di amare una dimensione universale» in grado di superare tutte le barriere. Non è impossibile, anche per noi: basta ascoltare attentamente dentro di noi il cuore, quel cuore senza confini, che pulsa.

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