Una inversione di tendenza dopo anni di immobilismo, che prova a dare dignità a persone tutte intere, non a braccia o a fantasmi. La questione dei migranti schiavi nel mondo del lavoro italiano, acuita dalla pandemia, è stata almeno in parte affrontata con la regolarizzazione contenuta nel Decreto Rilancio. Un passo avanti, anche se arriva in ritardo. È stata efficace la grande mobilitazione dell’era Covid-19 dei sindacati, della società civile organizzata, di tanti studiosi, di religiosi che anche attraverso questo giornale hanno rivolto appelli alla politica per consentire a lavoratori e lavoratrici di potersi regolarizzare per lavorare sicuri, con un contratto e una paga dignitosa. Per i braccianti agricoli, italiani e stranieri, ha parlato anche papa Francesco. Ed è stata determinante nel governo l’azione saggia, decisa e tenace delle titolari delle politiche agricole Teresa Bellanova e dell’Interno Luciana Lamorgese che hanno tenuto vive ragioni forti come la salute pubblica e la lotta all’illegalità. In breve, avremo l’emersione dei lavoratori in nero attraverso l’autodenuncia del datore.
Questi dichiarerà di avere un rapporto di lavoro irregolare in corso o di voler sottoscrivere un contratto – oppure la concessione del permesso temporaneo semestrale per chi ne aveva uno già scaduto dal 31 ottobre 2019 e verrà messo in condizione di cercarsi un contratto e ottenere la conversione del titolo in permesso di soggiorno lavorativo. Condizione per accedere alla regolarizzazione è provare la presenza sul territorio nazionale prima della fatidica data dell’8 marzo 2020. I compromessi negoziati con l’ala dura dei M5s hanno posto limitazioni pesanti. Sono infatti solo tre i settori produttivi coinvolti – agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura; assistenza alla persona; lavoro domestico. Restano ancora esclusi campi come la cantieristica edilizia, la ristorazione, le consegne a domicilio. Però almeno gli interventi in famiglia e in agricoltura erano urgenti. Secondo l’ultimo rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto, circa 430mila lavoratori e lavoratrici del settore su oltre un milione hanno un ingaggio irregolare e lavorano sotto caporale. Probabilmente non tutti i lavoratori in nero dei ghetti, soprattutto chi tra loro ha già un permesso, spezzeranno le catene. Ma il segnale va nella direzione giusta. Il ministro Lamorgese ha dichiarato che realisticamente saranno regolarizzate ed emergeranno dal nero circa 200 mila persone. Non sarà facile infatti dimostrare la presenza in Italia all’8 marzo. Le lungaggini burocratiche preoccupano invece gli agricoltori che temono di avere a disposizione gli operai agricoli solo a tarda estate. Restano poi esclusi gli immigrati che hanno ricevuto un provvedimento di espulsione. Non sono necessariamente criminali, e resteranno invisibili.
I permessi dureranno sei mesi. Dopo serve una svolta. La politica italiana deve imparare da questa vicenda a trattare il tema con razionalità, liberandosi dalle ideologie securitarie e dalla sudditanza alla destra estrema che sinora aveva dettato spregiudicatamente l’agenda migratoria paralizzando decisioni sensate e utili e vellicando i peggiori istinti. La regolarizzazione può invece portare a una nuova legge sull’immigrazione che superi finalmente la Bossi– Fini (del 2001!) e consenta ingressi sicuri e legali ai lavoratori di cui abbiamo bisogno. Superando una buona volta anche parti cruciali dei due Decreti (in)Sicurezza che con l’abolizione della protezione umanitaria fabbricano irregolari e, quindi, nuovi schiavi da sfruttare.