Quei politici senza statura
giovedì 3 giugno 2021

Giovanni Brusca è stato un assassino. Così feroce da segregare e uccidere in maniera atroce un bambino di 12 anni, di premere il pulsante che in un terribile giorno di maggio fece esplodere l’autostrada per Palermo all’altezza di Capaci. Una delle ferite più profonde inferte alla nostra democrazia. Ed è certo che nessuno, mai, potrà lavare via quel sangue dal nome e dalla coscienza di Brusca. L’ex mafioso, divenuto più di vent’anni fa collaboratore di giustizia, ha scontato un quarto di secolo in carcere, poi pochi giorni fa ha ottenuto la liberazione condizionale. È già accaduto per altri 'pentiti' che hanno contribuito concretamente a colpire il mostro che hanno servito. Alcuni di loro furono complici di Brusca, quel giorno a Capaci, e sono stati liberati prima di lui.

Ristabilito così, per brevi cenni, il fatto storico e quello giuridico, della indignazione collettiva per la liberazione di Brusca colpisce non tanto l’aspetto emotivo-popolare (comprensibile) bensì le reazioni di gran parte della classe politica. Se infatti non si può pretendere da tutti l’approfondita conoscenza di fatti e leggi – anche se almeno la Costituzione andrebbe studiata di più nelle scuole – non appare accettabile ascoltare da parlamentari e capipartito affermazioni superficiali su questioni così importanti.

Delle due l’una: o non sanno, i fatti e le leggi, e sarebbe cosa grave; oppure preferiscono assecondare, quando non vellicare, reazioni scandalizzate alla ricerca di consensi, e sarebbe cosa gravissima. O non sanno quanto alcuni 'pentiti' (non tutti) hanno contribuito a smantellare cosche, apparati paramilitari e patrimoni mafiosi, oppure evitano di ricordarlo per paura di rendersi impopolari. Uno che alla paura non si arrese mai, Giovanni Falcone, eroe e martire civile, uomo e magistrato illuminato, capì per primo l’importanza di infrangere l’omertà mafiosa e di introdurre una legislazione premiale.

Oggi, in questa stessa prima pagina e a pagina 3, trovate un suo intervento di 35 anni fa proprio sul tema. Non erano argomentazioni 'comode', allora come oggi. Come non lo erano le riflessioni del giovane Aldo Moro, pubblicate giorni fa nelle nostre pagine culturali, che nel 1944 invitava a lasciarsi il fascismo alle spalle con spirito di giustizia e non di vendetta.

Il compito di una classe dirigente non è quello di seguire la corrente, magari in base agli algoritmi delle tendenze sui social, ma di guidare il Paese illuminandogli la strada. Senza ovviamente cedere un millimetro sui princìpi della legalità. Una democrazia matura – la nostra Repubblica che ha compiuto 75 anni dovrebbe esserlo – per onorare i suoi eroi e le sue vittime innocenti non ha bisogno di rinnegare le leggi che le consentono di combattere, e speriamo di sconfiggere, le mafie.

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