Tre giorni fa avevo letto una notizia locale dolorosissima: «Getta la figlia di due anni dalla finestra». Pareva, dal titolo, una madre malvagia. M’ero detto: 'Le daranno almeno vent’anni, povera figlia, povera madre!'. Ieri sullo stesso giornale locale, nello stesso spazio, leggo: «Scarcerata la madre che ha gettato la figlia dalla finestra». Inaudito. E perché? Leggo e capisco. La donna spiega il suo gesto dicendo: «Sentivo delle voci che mi dicevano 'buttala', e l’ho buttata». Gli inquirenti si son chiesti: 'E se fosse vero?'. La donna è in terapia da anni, ha dei problemi psichici e prende degli psicofarmaci, quali problemi? quali farmaci? Questi farmaci sono la risposta su misura a quei problemi, li risolvono, o almeno li tengono a bada? O (questo il sospetto che leggo tra le righe dell’articolo) li aggravano? È la forma moderna che acquista oggi un quesito che una volta si formulava diversamente, una volta ci si chiedeva: colui che ha agito era in grado d’intendere e di volere? Poteva essere impazzito, depresso, esaltato, incollerito. L’incapacità d’intendere e di volere dipendeva da lui, era un fatto interiore. Oggi ci si deve domandare quali sostanze ha preso, e normalmente si pensa quali droghe, cocaina, acido, qualche droga aggressivante.
Ma nel caso della madre che butta la figlia dalla finestra la domanda è un’altra, inattesa, allarmante: quali farmaci ha preso? È una domanda pesantissima, che sposta la spiegazione di questi raptus dall’area di Freud all’area di Jekyll-Hyde. Dall’inconscio al farmaco. Dalla psicanalisi alla chimica. Il mito di Jekyll-Hyde non è collegabile alla scoperta dell’inconscio, ma degli psicofarmaci. Jekyll che diventa Hyde è diventato il simbolo di una persona con due distinte personalità, ma non è perfettamente esatto, non è la persona di per sé che cambia, è il farmaco che la cambia. Hyde ammazza per l’errato o imprevisto funzionamento di una sostanza chimica da lui appena scoperta. Ammazza sotto psicofarmaco. Usando quello psicofarmaco, il dottor Jekyll non ne prevedeva la direzione dell’efficacia. Assumendolo, diventa altro da quel che era. Quando ritorna in sé, non ha limpida coscienza di quel che ha fatto. Così questa madre che ha buttato la figlioletta, adesso continua a chiedere ai medici: «Come sta la mia piccola?». La piccola sta bene, e speriamo che torni perfetta com’era. La tesi della difesa, che sta prevalendo, è che la madre abbia fatto quel che ha fatto non per colpa sua, ma per colpa del male oscuro che la tormenta da anni, e che le fa 'sentire le voci'.
A questo punto il problema dell’indagine diventa questo: capire se i farmaci spegnevano in lei quelle voci, o se, magari per un attimo, magari per un giorno, quel giorno, le trasformavano in grida. Allora saremmo di fronte a una perfetta ripetizione del caso Jekyll-Hyde: il farmaco ha effetti diversi da quelli che pensava chi l’ha prescritto. Succede nei tranquillanti (sarebbe questo il caso), succede nei sonniferi, lo stesso sonnifero che fa dormire un paziente manda in agitazione un altro. Può succedere che il sonnifero che ti mandava in agitazione poi lo vedi sostituito dalla ditta produttrice, segno che aveva bisogno di un perfezionamento. Immagino che gli inquirenti interpellino i maggiori esperti di farmaci, per capire la rispondenza del farmaco alla malattia, e quindi se la madre deve passare da super-colpevole (di tentato omicidio aggravato dalla parentela, la colpa più obbrobriosa che si possa commettere in vita) a super-vittima (sofferente di una malattia che la spingeva ad eliminare la figlioletta che tanto amava). Diamo poca importanza al mito di Jekyll-Hyde. Nel tempo delle droghe e degli psicofarmaci, è importante quanto Freud. E forse di più.