Giunti alla fine del secondo anno di pandemia, non possiamo che richiamare le parole chiare del presidente Mattarella: alle poche eccezioni di sfiducia nei confronti della scienza e delle istituzioni preposte al contrasto della pandemia è stato «forse dato uno sproporzionato risalto mediatico». Il tema della sproporzione, qui, non riguarda certo il rapporto fisiologico tra maggioranza e minoranza politica sulle indicazioni di policy. Né quello del dibattito scientifico, che è progredito di pari passo con la diffusione del virus.
La sproporzione riguarda l’equivoco tra libertà di opinione e libertà di opinabilità di fatti verificabili e verificati; la pretesa di un contraddittorio equo tra l’approccio della certezza scientifica in divenire e la libera costruzione di «fatti alternativi», con tutti i rischi che ha denunciato Joe Biden nell’anniversario dell’assalto al Campidoglio di Washington. La libertà d’opinione, come scriveva Hannah Arendt alla fine degli anni Sessanta, è una farsa se i fatti non sono condivisi.
Specie quando si tratta di costruire il confronto politico nella sfera pubblica. Se ciascuno sceglie liberamente i propri fatti, la libertà d’opinione perde la sua natura 'politica' e precipita in quelli che Papa Francesco ha chiamato «monologhi che procedono paralleli».
La pandemia ha rimesso al centro il tema della libertà e di tutti gli equivoci che questo concetto misterioso e decisivo porta con sé. Come quello, antico, del limite delle libertà individuali nel loro sprigionarsi nella dimensione sociale. In un passaggio illuminante nel saggio 'Per la Pace Perpetua', Kant spiega che non è possibile, ad esempio, manifestare la propria libertà «a condizione» di non nuocere agli altri. Non c’è una libertà separata dalle sue condizioni. C’è, al contrario, secondo Kant, una possibilità di scegliere soltanto ciò che non nuoce. Non dunque un vincolo esterno alla libertà, ma la definizione del campo autentico, e unico, in cui quella libertà può esprimersi e assume senso nel rapporto tra individui.
Lo «sproporzionato» dibattito sul tema della libertà di scelta in relazione alle politiche pubbliche su virus e vaccini ha, talvolta, toccato un argomento meritevole di discussione e approfondimento, per quanto non privo di paradossi e contraddizioni logiche: quello del rapporto tra libertà e 'stato di eccezione', tra normalità ed emergenza. Il pericolo ravvisato consiste nel rischio di una 'normalità dell’eccezione', cioè di abituarsi alle straordinarie limitazioni imposte in tempi di pandemia, cedendo, irreversibilmente, spazi della sovranità individuale dei cittadini. Un effetto ruota dentata, per il quale, una volta perse talune libertà, non si torna più indietro. La contraddizione, palese, in questo argomento consiste nel fatto che tra coloro che avvertono questo pericolo, si trovano assai spesso anche quanti rifiutano proprio quelle misure di contrasto che possono anticipare la fine dell’emergenza.
Ma c’è un rischio più profondo che questo tipo di argomentazioni alimenta: se non accettiamo in radice talune limitazioni alla libertà individuale proprio di fronte all’emergenza pandemica (sempre che si prenda atto dell’esistenza del virus e della capacità dei vaccini di contrastarlo), potremmo finire per non accettare alcuna limitazione delle nostre libertà individuali, una volta fuori dallo 'stato di eccezione'. In altri termini, si affermerebbe la pretesa di una 'super libertà' post-pandemica che non conosce limiti o condizioni.
Eppure, anche il pluricitato Voltaire, nel suo 'Trattato sulla Tolleranza', spiegava che le libertà individuali trovano sempre un limite sociale nel «turbamento dell’ordine» o della pace sociale. E così John Stuart Mill o il giudice Oliver Wendell Holmes (colui che per primo scrisse che libertà d’espressione non significa gridare 'al fuoco' in un teatro affollato). Insomma, l’infodemia pandemica ci ha restituito intatti gli equivoci sulle nostre libertà di cittadini. Non soltanto su cosa ne è della nostra libertà in uno stato d’eccezione, ma soprattutto sulla ragione dei limiti alle nostre pretese di 'super libertà', fuori dai casi eccezionali.
Perché, come ci ha spiegato Kant, se vogliamo la pace sociale perpetua, il limite delle libertà individuali è ciò che le definisce, non l’eccezione a esse. In altri termini, se non comprendiamo il valore della libertà, e dunque dei suoi limiti intrinseci, proprio nello stato d’emergenza che, opportunamente, la limita, difficilmente sapremo apprezzarlo quando la pandemia sarà solo un brutto ricordo.