Caro direttore,
quello che sta avvenendo in questi giorni sta cambiando la questione migratoria: per la prima volta i migranti in Libia sono anche mediaticamente «protagonisti del loro riscatto», come aveva auspicato l’enciclica Fratelli tutti. I migranti scappati dai lager e mobilitati davanti alla sede di Acnur-Unhcr a Tripoli, che dall’inizio del mese hanno creato una comunità organizzata dal basso chiamata Refugees in Libya, continuano coraggiosamente la loro lotta, di cui 'Avvenire' ha raccontato con coraggio.
Le loro condizioni sono estremamente precarie, tanto che ci sono state due vittime: Amer, di 25 anni, ucciso il 13 ottobre da uomini mascherati riconducibili alle milizie libiche, e Benjamin, minorenne, investito con un’automobile il 27 dello stesso mese. I migranti mobilitati (che riescono a sopravvivere grazie anche all’aiuto di alcune persone della società civile libica) gridano, implorando di essere evacuati, verso il mondo intero e chiamano in causa in modo particolare l’Italia e l’Europa, responsabili particolari della loro situazione perché molti di loro mentre cercavano di scappare dalla Libia nell’unico modo possibile, cioè attraverso il mare, sono stati catturati e deportati nei lager, dove hanno subito orrori inimmaginabili, dalla cosiddetta Guardia costiera libica, che opera i respingimenti su finanziamento dell’Italia ed è spesso coordinata da Frontex.
L’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice ha affermato con evangelica parresìa: «Ricordo a tutti che le sorelle e i fratelli, le donne e gli uomini dell’Africa sono vittime, da parte dell’Occidente, di una spoliazione quotidiana e sistematica, che depreda della loro ricchezza miliardi di persone e le costringe a cercare vita e fortuna altrove. Ebbene, di fronte a questa ingiustizia sistematica noi europei, invece di sentire l’obbligo di un risarcimento, chiudiamo le frontiere del nostro benessere grondante del sangue dei poveri, per impedire ad altri il diritto a un’esistenza che non sia svuotata della sua stessa dignità.
Tutto questo è scandaloso, lo dico senza mezze misure». Nei primi giorni del presidio i migranti mobilitati a Tripoli hanno contattato 'Mediterranea', che si è fatta loro sorella, insieme ad altre persone europee, aiutandoli a far risuonare il loro grido. Grido che è stato raccolto da papa Francesco, che rivolgendosi direttamente a loro alla fine dell’Angelus di domenica 24 ottobre («Non vi dimentico mai, sento le vostre grida e prego per voi ») e definendoli «fratelli e sorelle» ha risposto alla richiesta che questi migranti avevano rivolto alla Chiesa: aiutarli a essere riconosciuti dal mondo come persone, soggetti e veri fratelli e sorelle.
I profughi e migranti si erano rivolti al Papa perché, come avevano scritto, tutti loro percepiscono Francesco come il padre dell’umanità e la Chiesa cattolica come la sorella che aiuta questa umanità a costruire davvero l’umana fratellanza. Quello che sta avvenendo è un grande 'segno dei tempi' ed è l’ancora che il Cielo ci sta gettando: i migranti mobilitati a Tripoli, e per bocca loro Gesù, ci ricordano che usciremo dalle crisi epocali, che sono tutte interconnesse, in cui il mondo sta collassando soltanto se ci riconosceremo davvero come fratelli e sorelle e agiremo di conseguenza.
Tutti quanti abbiano il coraggio di compiere il passo che ha compiuto la Chiesa: riconoscere i nostri fratelli e sorelle migranti, e tutti gli ultimi del mondo, come persone, come soggetti degni di sedere a tavola e di essere protagonisti, in definitiva come veri e fratelli e sorelle. Solo allora tutti insieme riusciremo davvero a costruire la civiltà dell’amore.
Sacerdote, cappellano di Mediterranea Saving Humans