La vittoria di Emmanuel Macron è una boccata d’ossigeno a fronte dell’incalzare dei populismi, ma la partita non è ancora vinta perché il 'Partito della Paura e del Rancore' (il 'Ppr') in praticamente tutti i Paesi europei riscuote consensi, non abbastanza per dilagare, ma comunque troppi. Anche il 15-20% basta, infatti, per avvelenare alle radici la vita culturale e politica di una nazione e dell’intera Unione.
Per questo bisogna aver chiaro che gli avversari da battere sono, appunto, la paura e il rancore (che generano odio e razzismi) e non il malessere di coloro che li esprimono e che appartengono alle fasce più fragili dei vari Paesi, malessere che ha in parte (ma solo in parte) fondamenti economici. La questione, in fondo, è semplice. L’attuale fase di mondializzazione e di innovazione tecnologica (come le altre del passato) ha fatto crescere la torta della ricchezza globale, ma ha 'prodotto' vincenti e perdenti. I perdenti sono concentrati nelle fasce medio basse dei Paesi ad alto reddito e rappresentano una quota importante degli elettorati rischiando di rendere l’attuale fase della globalizzazione politicamente insostenibile.
La soluzione è chiara. Bisogna non solo compensare i perdenti e gli 'scartati', ma stare al loro fianco, comprendere il loro malessere e trovare delle risposte. Poiché il problema è solo in parte economico la prima missione è quella culturale. La voce del 'Partito della Paura e del Rancore' rimbomba e sembra rappresentare il 70-80% del Paese in quelle moderne agorà virtuali dove si forma una parte sempre più importante di opinione pubblica che sono i social. Come ha ben spiegato Mauro Magatti, le nostre società sono oggi paradossalmente più fragili e scalabili, nonostante il livello di istruzione sia salito. Questo perché in passato gran parte del consenso politico passava attraverso le agenzie della famiglia, della parrocchia e della sezione di partito che mediavano e razionalizzavano opinioni e umori. Oggi, invece, una parte crescente della popolazione è sola davanti alla Rete. Ecco perché siamo chiamati un po’ tutti, a sporcarci le mani anche diventando attivisti digitali per far risuonare le ragioni della razionalità superiore della cooperazione e della fiducia che, come è ben noto nelle scienze sociali, produce risultati molto migliori del conflitto. Quanto alla missione politica ed economica di questo tempo, non dobbiamo aver paura di dire ai nostri concittadini che esiste un unico e stretto sentiero per evitare di finire nel burrone della crisi finanziaria e degli enormi rischi di un’uscita dall'euro (come ha ben capito il premier greco Tsipras, che su quel ciglio si è trovato e persino Marine Le Pen che ha cambiato parzialmente idea sull'uscita dalla moneta europea).
Il sentiero stretto è quello dell’avanzamento sul cammino dell’integrazione europea. Che passa attraverso un più di democrazia e un più di cooperazione economica. In concreto, ci sono tre opzioni forti da fare: assicurazione europea dei depositi bancari, agenzia non profit per la gestione delle sofferenze bancarie come proposto dalla stessa Autorità bancaria europea, forme varie e diverse di mutualizzazione dei debiti pubblici. Due questioni decisive, poi, saranno la rivoluzione fiscale e la creazione di un sostegno d’inclusione attiva a livello europeo. La prima deve procedere da due direzioni (chiusura di paradisi fiscali interni ed esterni alla Ue e lotta a evasione ed elusione nonché riduzione dell’eccessivo prelievo fiscale in alcuni Paesi come il nostro) per convergere a una tassazione minima (e auspicabilmente unica) del 25% su tutte le imprese, messe finalmente nella condizione di non poter più trasferire fittiziamente profitti all'estero. La seconda è la vera risposta politica al 'Ppr' perché affronta direttamente il malessere delle classi più fragili (e più ostili all'Europa) con una misura europea di lotta alla povertà che integra quelle nazionali già esistenti e promuove presa in carico e inclusione.
L’ostacolo verso questo traguardo (soprattutto in materia di cooperazione finanziaria) è il macigno delle diffidenze tedesche che hanno affrontato lo choc asimmetrico della crisi finanziaria globale con la stessa empatia di un Pantani che va a fare una gita sullo Stelvio con un gruppo di cicloamatori e alla prima rampa decide di lasciarli tutti sul posto andando in fuga solitaria. La speranza è che l’elezione di Macron crei quella massa critica necessaria per arrivare alla meta. Dobbiamo avere ovviamente anche un 'piano B' nel caso in cui il passo avanti dell’Europa in realtà non ci sia. E il 'piano B' sta nel continuare a lavorare per il miglioramento del sistema Paese, rilanciando gli investimenti, aumentando qualità di capitale e lavoro e valorizzando l’oro dell’economia prossima ventura. Quella combinazione di ambiente, arte, cultura, storia e stile di vita che lambisce i settori come il turismo e l’agroalimentare e ci vede con un genius loci, una specificità originale e un vantaggio competitivo potenziale importanti rispetto al resto del mondo. Se continueremo nell'opera di rafforzamento del Paese, nonostante tutto ci troveremo più forti e pronti di fronte a eventuali tempeste (e disgregazioni) che, speriamo vivamente, non dovranno mai accadere.