Caro direttore,
navighiamo a vista con venti contrari che rendono difficile immaginare il futuro, ma è proprio quello che siamo chiamati a fare, perché il futuro non si aspetta, si progetta. Dobbiamo trovare le energie e la lucidità per tornare a immaginarlo e a costruirlo. Bene la politica dei sussidi per tamponare l’emergenza. Bene la salvaguardia dell’occupazione esistente, ma non basta. I sussidi finiranno. Dobbiamo creare le condizioni per creare nuovo sviluppo, nuova occupazione, nuove opportunità di crescita per il nostro Paese che registra e continuerà a registrare perdita di occupazione che va necessariamente compensata attraverso la creazione di nuovo lavoro, nuova imprenditoria.
Cosa occorre fare, dunque? Sbloccare i cantieri per ammodernare e realizzare le infrastrutture che servono all’Italia: dalle strade al digitale. Riprendere a investire in innovazione e ricerca, dalla scuola all’università, investiamo poco più di 1% di Pil tra risorse pubbliche e private, troppo poco per consolidare la nostra posizione e disegnare scenari di sviluppo tra le principali economie del mondo. Innovazione, competitività e civiltà di un Paese corrono lungo la doppia dorsale infrastrutturale: materiale e immateriale. Realizzare politiche di sviluppo sostenibili che non feriscano l’ambiente i cui danni, , se non invertiamo la rotta, rischiano di impattare entro il 2050 sul nostro Pil fino al 10%.
È una grande sfida, ma è un investimento per il presente e per il futuro. Non può essere procrastinata nel tempo, perché la sostenibilità abbinata alla competitività è un binomio di sicuro successo. Mettere un freno agli interventi a pioggia e insistere su una selettiva riduzione del costo del lavoro finalizzata a nuova occupazione, stabile e di qualità: premiante per i lavoratori e per le imprese. Intervenire sulla forbice della diseguaglianza che si amplia sempre di più, tra l’Italia che rimpingua i risparmi sui conti correnti per l’incertezza del domani e altri 2,1 milioni di famiglie cadute in povertà a causa della lockdown economy, come documentato in un recente focus Censis-Confcooperative.
Un Paese con 23 milioni di lavoratori, oltre 16 milioni di pensionati, 10 milioni di studenti con una formazione che non è sempre d’eccellenza e oltre 10 milioni di poveri ha molte disparità da affrontare. Ripensare le politiche di conciliazione vita lavoro. Troppe donne rinunciano al lavoro o ne sono estromesse per prestare assistenza a minori o anziani in famiglia. Ancora troppo alte le rette degli asili nido, spesso introvabili.
Proibitivi i costi dell’assistenza domestica che vede quindi ingrossare le fila dell’occupazione in nero di baby-sitter e soprattutto badanti: un esercito fantasma di 1 milione di persone che lavorano in un’area grigia di mercato. Non è questione di questo o di quel governo. Non è un’azione semplice che si può affrontare in una legislatura. Occorre una visione di orizzonte temporale molto più ampia che non risponda alle esigenze di oggi, ma a ciò di cui necessita il Paese domani. Sono alcuni dei temi sui quali ci confronteremo alla prossima edizione del Festival nazionale dell’Economia Civile (Firenze e via web, 25- 27 settembre). Registriamo una caduta rovinosa del Pil e un’esplosione del debito pubblico. Sono due indicatori chiari la cui risposta è semplice: rilanciare la competitività, ferma da venti anni, e con essa la capacità di pagare i debiti, perché il problema non è tanto contrarli quanto riuscire a ripagarli.
Presidente di Confcooperative