Basilicata e Calabria, dopo Campania e Puglia, presto la Valle d’Aosta, mentre l’Abruzzo ci ripensa all’ultimo momento: si allunga la lista delle Regioni italiane in cui le scuole di ogni ordine e grado resteranno chiuse per alcune settimane. Un passo ben oltre ciò che prescrive il Dpcm del 3 novembre, che 'salva' l’insegnamento in presenza per le elementari e per la prima media. In cinque Regioni italiane invece i portoni di tutte le scuole, nessuna esclusa, nei prossimi giorni resteranno sbarrati.
Su queste colonne abbiamo argomentato più volte le conseguenze negative sull’apprendimento e sulla socializzazione dei più giovani. Sono le stesse considerazioni che il Governo ha ben presente quando difende con determinazione la didattica in aula almeno per i più piccoli. Ebbene, cinque Regioni hanno deciso di superare le indicazioni nazionali, con qualche sofferenza – va detto – e in presenza di una progressione preoccupante dell’epidemia, benché senza incontrovertibili dati scientifici che attribuiscano la responsabilità dell’aumento dei contagi alla frequenza scolastica, prova ne siano la Francia e la Germania dove, con gli studenti in classe, la curva comincia a scendere.
Ma c’è un altro aspetto sul quale non ci si è soffermati a sufficienza, forse perché considerato – a torto – un risvolto 'privato' della questione apertura/chiusura delle scuole. Se anche gli alunni più piccoli restano a casa in didattica a distanza, di conseguenza le famiglie hanno il compito di accudirli e di accompagnarli nello studio. Dal primo lockdown sappiamo com’è andata, cioè che le madri lavoratrici sono state le più penalizzate. Il 74% di loro ha continuato a lavorare in presenza o a distanza (contro il 66% degli uomini), dovendo garantire servizi essenziali in settori a forte vocazione femminile (scuola, sanità, pubblica amministrazione). Allo stesso tempo le donne hanno assistito i figli, con un livello di stress elevatissimo per quasi 3 milioni di madri lavoratrici con un figlio sotto i 15 anni (il 30% delle occupate).
Anche i padri sono stati coinvolti, non c’è dubbio, ma le madri di più: il 68% e il 61% delle lavoratrici ha dedicato più tempo che in era pre-Covid rispettivamente al lavoro domestico e alla cura dei bambini (contro il 40% e il 51% degli uomini, fonte lavoce.info).
Nella seconda ondata, le lavoratrici italiane (così come quelle di quasi tutti i Paesi europei in cui le scuole sono rimaste aperte) si erano illuse di essere risparmiate da questa immensa fatica. Non a tutte è andata bene. E forse non è un caso che a optare per la chiusura completa delle scuole siano quattro Regioni del Sud Italia in cui il tasso di occupazione femminile è sensibilmente inferiore alla media nazionale.
È come se si approfittasse di una situazione di fatto – il gran numero di donne inoccupate – per rendere apparentemente meno 'dolorose' le conseguenze di una misura assai più drastica di quelle messe in campo dal Governo. Con un tempismo sicuramente non voluto, ciò succede lo stesso giorno in cui si procede verso il varo della Manovra economica più 'femminile' della storia italiana, in cui si contemplano già per il 2021 sgravi fiscali per l’assunzione di giovani sotto i 35 anni e di donne senza limiti di età, e un fondo a sostegno delle imprese guidate da donne. Se si crede che il disequilibrio di genere nel mondo del lavoro sia un reale handicap per la crescita dell’Italia, è importante che i segnali siano inequivocabili, da Nord a Sud. Anzi, soprattutto al Sud.
La chiusura totale delle scuole, per quanto decisa in una situazione di grande preoccupazione, è una dimostrazione del fatto che il sovraccarico femminile (nelle ricerche le hanno chiamate le 'mamme equilibriste') nel migliore dei casi e la disoccupazione o la sottoccupazione nel peggiore, per qualcuno non sono un problema per risolvere il quale val la pena impegnarsi in via prioritaria anche in tempi di crisi, ma addirittura possono diventare una discutibilissima 'risorsa' da sfruttare.