I timidi segnali di ripresa del terzo trimestre 2015 (aumento reddito disponibile dell’1,3% senza però una ripresa degli investimenti, aumento del risparmio superiore a quello dei consumi) avvengono sullo sfondo di un confronto economico e politico che è bene non dimenticare: il dibattito su costi e benefici dell’euro (e soprattutto di costi e benefici del restarci o di provare a uscirne), che è acceso e ben noto. Gli anti-euro dicono che la 'libertà del cambio' avrebbe dato enorme beneficio in questa fase di crisi (e attribuiscono all’euro gran parte delle colpe della recessione). Il ragionamento è grossomodo questo: non diventeremo mai bravi come i tedeschi e tanto vale avere una valuta propria che, svalutandosi, ci consente di compensare le nostre debolezze. I pro-euro sottolineano, al contrario, che navigare da soli nelle acque tempestose della finanza internazionale non è semplice. Ci vorrebbe una soluzione alla giapponese, con una Banca centrale nazionale che accetta di monetizzare il debito pubblico per ridurre il rischio Paese. Rischio Paese che, del resto, non sparisce per chi ha una propria valuta. E poi il mare della finanza internazionale è spesso in tempesta. Con l’euro siamo su un transatlantico, grande e stabile, ma che succederebbe se tornassimo alla nostra barca nazionale? Con l’uscita dall’euro ci sarebbe inoltre il rischio di una corsa agli sportelli e di perdita di valore del risparmio per l’aumento dell’inflazione. Perché i greci, che hanno avuto l’opportunità di uscire, alla fine si sono guardati bene dal farlo? Il dibattito è acceso e complesso. Per usare una metafora è come se l’Italia fosse un paziente e i medici a consulto si dividessero in due gruppi. Entrambi vogliono il bene del malato, ma da punti di vista diversi e opposti Il primo vuole operare (uscire dall’euro) anche se l’operazione è difficile perché pensa che senza di essa il malato rischia di morire. Il secondo ritiene l’operazione troppo rischiosa, ha delle perplessità sul suo effetto ed è convinto che il malato può guarire lo stesso. Quello che è certo è che la sfida tra governo e opposizione nei prossimi mesi e anni si giocherà sulla
performance dell’economia italiana ed europea e avrà anche l’euro sullo sfondo. Se l’Italia ripartirà (se il malato guarirà), il dibattito sulla moneta unica decadrà e i partiti di governo prevarranno. Se l’Eurozona non uscirà bene dall’impasse degli ultimi anni i partiti all’opposizione (quasi tutti eurocritici) avranno una carta formidabile per crescere elettoralmente. Ergo, l’impegno prioritario del nostro governo dovrebbe essere quello di creare le condizioni migliori perché l’Eurozona abbia più benefici che costi per i Paesi membri (non trascuriamo l’allarme recente del nostro ministro dell’Economia e delle Finanze Padoan «in Europa i costi stanno superando i benefici» su questo punto). La partita si gioca su molti fronti da quello delle regole sulle banche al piano Juncker, al progetto di armonizzazione fiscale. Il nostro governo deve giocare una partita energica per il bene del Paese e della sua stessa sopravvivenza. In estrema sintesi: su questo punto, dopo l’appello dei 360 professori, la barca dell’eurozona ha miracolosamente schivato l’iceberg con il
quantitative easing (l’acquisto dei titoli del debito statale da parte della Bce) che ci ha fatto entrare nel club dei Paesi che si finanziano a tasso zero o negativo. Ma non basta. Perché i 'soldi gettati dagli elicotteri' (la leva monetaria attivata dal Qe) non devono fermarsi 'nei cortili delle banche' finendo, così, per alimentare prezzi delle attività finanziarie e bolle speculative. Devono arrivare nelle tasche dei cittadini trasformando il Qe in Pqe ovvero in un
people quantitative easing. Per farlo una strada è la riduzione delle tasse, ma la via maestra è un reddito minimo di cittadinanza inclusivo (i vari bonus parziali del governo ne sono una prova) promosso, se possibile, a livello europeo. Il reddito di cittadinanza deve integrare il reddito del cittadino fino a quello minimo della soglia di povertà o poco sopra (tra 800 e 1.000 euro al mese). Deve essere attivo e inclusivo. Va rimosso se il cittadino dimostra di non cercare attivamente lavoro e può essere collegato allo svolgimento di un servizio per la collettività. Al contempo una politica fiscale espansiva a livello Ue deve sfruttare l’opportunità enorme di creazione di valore e lavoro della rivoluzione verde (riconversione dell’economia a emissioni zero e rifiuti zero) avviando come suggerisce Stiglitz un programma di investimenti pubblici in infrastrutture ad alto moltiplicatore (approfittando del costo quasi nullo del denaro). Tutto questo deve affiancare il percorso di aumento di produttività totale dei fattori che il Paese ha intrapreso. Ovvero di quell’insieme di fattori che vanno dall’organizzazione lavoro alle competenze, agli investimenti, alla burocrazia e alle infrastrutture che rendono le imprese produttive. Sostenitori, critici o avversari dell’euro abbiamo tutti il dovere di lavorare perché il malato torni in piena salute.