Omicron ha sparigliato ancora una volta i giochi. La nuova variante venuta dal Sudafrica si è propagata con incredibile velocità diventando in poche settimane dominante, nella coabitazione con la Delta, anche qui da noi. Tuttavia, è evidente che l’emergenza di questi giorni è molto diversa da quella dell’anno scorso. Omicron produce forme meno gravi ed è molto più diffusiva. I dati da questo punto di vista sono eloquenti. Un anno fa in questi giorni, nei primi giorni di gennaio, le infezioni erano circa 20.000, con oltre 2.500 persone ricoverate in terapia intensiva. Oggi, le infezioni sono 10 volte di più (attorno alle 200.000), ma i posti letto in terapia intensiva occupati da pazienti covid sono circa 1.700. Anche grazie al vaccino riusciamo, pur con qualche fatica, a contenere il numero di ospedalizzazioni. Ma adesso il problema è diventato evitare il rischio di vedere il Paese bloccato a causa della diffusione capillare della malattia.
Su vaccinazioni, apertura di scuole e attività produttive il governo tiene la barra dritta. Posizione ampiamente condivisibile. Soprattutto perché non sappiamo per quanti inverni dovremo gestire queste ondate virali. Se il tema è imparare a convivere sensatamente con il virus, è allora necessario riuscire a non dimenticare parti importanti della nostra organizzazione sociale.
Nelle lodevoli iniziative governative di questi giorni occorre però rilevare che a 'scomparire' è stato, ancora una volta, quel soggetto fondamentale che è la famiglia. Eppure sono davvero grandi le difficoltà che in questi giorni le famiglie italiane stanno affrontando in quanto nuclei, più o meno grandi, di convivenza. Assediate come sono dall’infezione che colpisce un figlio, un genitore, un cugino, un amico del figlio o della figlia col quale questi sono stati a contatto. A differenza di un anno fa, oggi nella gran parte della famiglie c’è almeno un positivo (o un sospetto positivo).
Gli obblighi di quarantena per i vaccinati sono stati giustamente ridotti. Ma quando c’è un’infezione in casa si aprono i problemi 'organizzativi' che diventano un rebus di difficile soluzione. Soprattutto quando la malattia colpisce i bambini.
Gli spazi abitativi, come sappiamo, sono spesso inadatti. I tempi del tutto inadeguati. Non dimentichiamoci che, anche quando si è asintomatici, si deve rimanere in isolamento per giorni. I nonni, per ragioni evidenti, sono in parte fuori gioco. Nessuno si sente di chiamare un anziano genitore, anche se vaccinato, a curare il figlio-nipote.
D'altra parte non si dovrebbe nemmeno fare per ragioni sanitarie. E adesso, con la riapertura delle scuole, è ragionevole pensare che il virus si diffonderà ancora di più tra i ragazzi. Non è dunque difficile rendersi conto del problema. Ed è, dunque, urgente che il governo intervenga per far sì che nelle prossime settimane le famiglie siano messe nelle condizioni di poter gestire questo nuovo tipo di emergenza. Tutti, a cominciare da Mario Draghi, lo hanno detto e ripetuto in mille occasioni: la famiglia va rimessa al centro della vita sociale, anche perché l’Italia soffre di un drammatico calo demografico che rischia di compromettere qualunque futuro. Non si lascino dunque le famiglie si a gestire in solitudine le prossime settimane.
Cosa si può fare? In primo luogo, si dia la possibilità ai genitori che hanno i figli malati di assentarsi dal lavoro considerando questi giorni come malattia propria. Un provvedimento a termine, da far durare fino alla fine di questa ondata che durerà ragionevolmente, qualche settimana. In secondo luogo, si renda immediatamente operativa la possibilità già molto diffusa in altri Paesi di variare l’orario di lavoro, con l’opportunità di concordare in modo molto veloce e per un periodo limitato la quota di part-time (90, 70 o 50%) più utile a seconda delle necessità famigliari.
E si incentivino le imprese che adottano rapidamente tale soluzione. Infine, si promuova il lavoro agile o smart working (ivi compreso quello nella pubblica amministrazione) che certamente da solo non risolve il problema, ma può contribuire a rendere gestibili i tempi dentro una famiglia che si trova in emergenza. Conta il contenuto, e conta anche il metodo. La pandemia chiede ai governi non solo di agire in fretta, ma di avere anche un sguardo integrale. Senza dimenticare nessuno. E tanto meno la famiglia.