Quando si parla di ricette per rilanciare la crescita il dibattito politico porta quasi sempre a ragionare di misure espansive, tagli di tasse, investimenti in infrastrutture e innovazione, produttività, intervento pubblico... Oggi con l’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti anche di dazi, muri e autarchia. Raramente il tema dello sviluppo è affrontato pensando alla popolazione. Eppure l’invecchiamento della popolazione in Occidente è una delle principali cause della ridotta crescita del Pil, della bassa inflazione (che tanti problemi crea alla gestione del debito pubblico) e della produttività modesta. Il tema è controverso, ma che ci sia un legame forte tra una popolazione anziana e la stagnazione economica è assodato. Una ricerca della Federal Reserve pubblicata nell’ottobre 2016 ha messo in luce che nei paesi Ocse il 'fattore demografico' ha causato una compressione del Pil intorno all’1,25% in media a partire dagli anni 80. Gli autori dello studio sostengono che questa situazione durerà almeno per un ventennio ancora, avallando così la teoria di un 'new normal' in economia, o della 'stagnazione secolare' di Larry Summers.
Il binomio bassa natalità e popolazione che invecchia sarà il motore di una trasformazione epocale. Nella storia dell’umanità una popolazione numerosa e vitale, con tassi di fecondità elevati, è sempre stata sinonimo di potere e ricchezza. Questa relazione si è invertita in epoca recente, con lo sviluppo tecnologico che ha decretato il dominino dell’Occidente, ma molti demografi oggi ritengono che questa finestra della storia si stia per chiudere e che presto il fattore-popolazione tornerà ad essere garanzia di maggiore forza. Una prospettiva che interessa soprattutto l’Africa e l’Asia. Niente è certo, ma in un tale scenario il tema dell’immigrazione diventa centrale.
L’Europa è un continente che invecchia e fatica a risollevare i suoi tassi di fecondità. A compensare il deficit demografico finora è stata l’immigrazione. I Paesi a cultura occidentale con i tassi di crescita meno depressi sono proprio quelli che riescono ad attrarre popolazione giovane, dagli Stati Uniti alla Germania all’Australia. L’immigrazione, quando non è disordinata, non è solo una 'fonte di giovinezza', ma un sicuro volano di sviluppo. Una ricerca dell’agenzia americana di rating Standard&Poors dello scorso anno calcolava che gli Stati Uniti nei prossimi otto anni avranno un Pil con il freno a mano tirato proprio per la popolazione che invecchia, perdendo uno 0,8% di ricchezza. L’analisi notava però che senza il contributo dell’immigrazione la compressione del prodotto interno lordo sarebbe maggiore, come invece accadrà in alcuni Paesi in particolare: Italia, Russia, Spagna, Giappone, Corea del Sud. Lo studio è precedente all’elezione di Trump, e dunque i calcoli probabilmente oggi andrebbero rivisti.
E ora? Difficile immaginarlo, ma non è un caso se il nuovo presidente Usa, mentre annuncia nuovi 'muri' e chiude qualche frontiera abbia deciso di tornare a liberare la finanza dalle briglie: la speculazione e la creazione di bolle finanziarie, così come le politiche monetarie ultra espansive delle banche centrali, da molti sono considerate forme di compensazione per porre rimedio a una dinamica depressa della popolazione. Con la sola differenza che pompare il Pil ricorrendo alla finanza espone l’economia a stress e genera maggiori diseguaglianze rispetto a una crescita frutto del contributo delle famiglie. Inoltre gli anziani tendono a risparmiare di più e a rimettere il denaro meno in circolo di quanto non faccia una popolazione composta da molti più 'attivi' e contemporaneamente da molti minori. Le difficoltà che incontriamo oggi, insomma, così come le fortune che abbiamo conosciuto in passato, vengono da lontano e hanno molto a che fare con il tipo di società e di famiglia che consideriamo ideale.
In tutta questa vicenda l’Europa non ne esce bene. L’immigrazione non è sempre un fenomeno ordinato, anzi, se non è ben governata e ben gestita genera tensioni pericolose. Tuttavia l’accoglienza è una virtù morale che può portare benefici anche di tipo materiale. «Le migrazioni non sono un pericolo, ma una sfida per crescere», ha detto papa Francesco parlando all’Università RomaTre. L’ondata di populismo che si è rinvigorita in questa fase storica rischia di accentuare i problemi invece che risolverli. Un continente che rinuncia alla sua 'fonte di giovinezza', che cioè non aumenta i suoi tassi di fecondità e allo stesso tempo respinge la popolazione che bussa, non ha un futuro roseo davanti a sé. Rinunciamo a figli e immigrazione perché stiamo peggio, ma stiamo peggio proprio perché chiudiamo sempre di più le porte a figli e immigrazione. La linea dei 'muri', oltretutto, rischia di produrre un effetto paradossale: quello di spingere forze politiche che hanno sempre difeso il valore della famiglia a rinnegare parte della loro identità.
I sostegni alla natalità e gli aiuti ai nuclei numerosi sono una strada che andrebbe battuta maggiormente per redistribuire le risorse a favore di chi si fa carico dei costi che comporta crescere i cittadini del futuro e per rinvigorire la dinamica della popolazione in Europa. A maggior ragione in Italia, il Paese con la prospettiva demografica peggiore e non a caso quello che da vent’anni cresce meno di tutti. Ci sono forze politiche che per loro natura si sono sempre opposte alle misure pro famiglia, ma a queste oggi se ne aggiungo altre in virtù del fatto che poiché gli italiani fanno pochi figli gli incentivi rischierebbero di privilegiare soprattutto gli stranieri, più prolifici. E così, nel tentativo di assecondare l’ondata di demagogia che vede negli immigrati solo concorrenti e nemici, a farsi sempre più largo è una tendenza che spinge ad accantonare tout court l’idea di premiare i nuclei in base ai figli.
L’ Italia negli ultimi anni ha visto aumentare la popolazione giovane in uscita e diminuire quella che dopo essere entrata intende stabilirsi qui. Ha il rapporto giovani/anziani più alto d’Europa, 100 «under 15» ogni 161 «over 65». È tra i Paesi con la più alta percentuale di donne che non hanno e non avranno figli: secondo una recente proiezione dell’Istituto di statistica di Vienna presto saranno il 25%, una ogni quattro. Ma un Paese, o un continente, che alza barriere, si chiude a chi sogna di diventare suo cittadino, e smette persino di considerare una risorsa preziosa i suoi figli, ha definitivamente tagliato ogni legame con il futuro. Un suicidio in piena regola. La speranza non può che essere riposta nelle generazioni più giovani. Molte indagini, si pensi a quelle dell’Istituto Toniolo, fotografano un universo giovanile in larga parte desideroso di generatività, di partecipazione sociale, di impegno, di solidarietà e di disponibilità a mettersi in gioco anche per gli altri. Sono segnali incoraggianti, se gli ideali espressi dalla generazione che è in minoranza troveranno il modo di contagiare la visione declinante della maggioranza meno giovane. Riusciranno, cioè, le nuove generazioni, a promuovere una rivoluzione della speranza?