Perché bussare a tutte le porte
martedì 23 maggio 2023

La missione per la pace in Ucraina affidata da Francesco al cardinale Matteo Zuppi, Presidente della Cei, fa tutt’uno con il forte messaggio del Papa per il G7 di Hiroshima, in cui la fine della guerra «sul suolo ucraino» è legata al «futuro nella nostra casa comune». Ai rappresentanti dei sei Paesi occidentali più industrializzati e del Giappone ha indicato infatti l’obiettivo della «cooperazione multilaterale responsabile», quale alternativa a un ordine mondiale basato sulla forza delle armi. Francesco sa bene che gli uomini e le donne di oggi sentono un grande «bisogno di sicurezza» ma, nel «mondo multipolare del ventunesimo secolo», l’unica vera garanzia di sicurezza è una pace basata sulla cooperazione internazionale. E la mancanza, al momento, di specificazioni sulle modalità della missione del cardinale Zuppi per l’Ucraina rende ancora più chiaro che per la pace bisogna tentare tutte le strade e bussare a tutte le porte.

Dal G7 sono venute invece indicazioni contraddittorie. È apprezzabile che al vertice si sia parlato di liberazione del mondo dalle armi nucleari, ma al momento è solo un auspicio e a Hiroshima si è parlato molto anche di F 16 occidentali per le forze armate ucraine che, secondo Mosca, potrebbero comportare «rischi colossali». È stato indubbiamente positivo che gli ormai ex Sette Grandi abbiano invitato i presidenti di Paesi molto importanti come India e Brasile. Ma a Hiroshima sono stati anche usati toni anti-cinesi particolarmente duri, provocando una reazione fortemente risentita, mentre non è possibile immaginare oggi la pace nel mondo senza la Cina. Il G7 ha evidenziato in questo senso una pericolosa inclinazione verso una divisione del mondo in blocchi contrapposti basati sulla forza delle armi: insomma, verso una nuova guerra fredda.

Tuttavia – sorprendentemente – nelle ultime settimane dagli Stati Uniti sono anche venuti segnali che vanno nella direzione di un dialogo con la Cina: il discorso del Segretario al Tesoro Janet Yellen e quello del Consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, l’incontro a Pechino tra l’ambasciatore americano Nicholas Burns e il ministro degli Esteri cinese Qin Gang, infine quello – di ben otto ore - tra il capo della politica estera cinese Wang Yi e lo stesso Sullivan a Vienna. A Hiroshima Biden ha detto di aspettarsi «un disgelo molto a breve con la Cina», confermando la politica di “Una Sola Cina” e dicendo di non aspettarsi che Taiwan proclami la sua indipendenza.

Come interpretare questi segnali diversi? Nella logica di una contrapposizione di fondo tra due blocchi, spetta solo al Paese leader dell’Occidente decidere se e come trattare con Pechino? Ma gli schemi della vecchia guerra fredda non sono applicabili al XXI secolo. Particolarmente importante oggi è il ruolo che può svolgere l’Europa, come ha sottolineato il cardinale Pietro Parolin sollecitandola a uno sforzo creativo per la pace. Qualche settimana fa, il Presidente francese Emmanuel Macron ha aperto all’iniziativa cinese per la pace in Ucraina, avendo constatato che la Cina è davvero interessata alla fine di questa guerra: l’aggressione russa ha infatti avuto molti effetti negativi per gli interessi cinesi.

Macron è stato criticato per questo ma è un fatto che Xi Jinping – dopo aver compiuto altri passi importanti - ha inviato in Ucraina Li Hui, diplomatico di lungo corso ed esperto di Europa orientale, per favorire l’apertura di un dialogo tra Kiev e Mosca. Pechino ha così messo in campo quella che è l’iniziativa di pace finora più importante per il peso di chi la promuove. L’Occidente ha prima irriso al tentativo cinese, poi l’ha guardato con scetticismo e a Hiroshima l’ha respinto. Il tentativo cinese può non piacere ma non essere liquidato senza proporne altri. Perché l’Occidente non ha preceduto la Cina su questa strada?

Perché non si unisce al tentativo di Pechino togliendole così l’esclusiva? Perché non propone un’alternativa? L’attuale situazione internazionale mette in particolare difficoltà l’Italia. Da parte americana è in atto un forte pressing sul governo italiano perché disdica il memorandum sulla Via della Seta sottoscritto nel 2019. Se il presidente del consiglio Giorgia Meloni non lo farà, irriterà gli Stati Uniti, ma se lo farà potrebbero esserci conseguenze negative sulle relazioni commerciali Italia-Cina.

Oggi l’Occidente non è più in grado di affermare la propria egemonia nel mondo e l’Italia, come il resto d’Europa, ha interesse a mantenere aperti canali di dialogo con il Sud del mondo. Durante la guerra fredda, al nostro Paese è riuscito di conciliare la fedeltà agli Stati Uniti con tale dialogo anche grazie a una stretta sintonia con la Santa Sede. Pur in una situazione molto diversa, anche oggi un collegamento con la “politica del Papa” l’aiuterebbe a difendere quote della sua sovranità.

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