Per un servizio civile più forte e presto anche obbligatorio
sabato 23 maggio 2020

Caro direttore,

la situazione creatasi con la pandemia ha fatto emergere, tra gli altri aspetti, la necessità di una presenza stabile per intervenire in situazioni di bisogno. Può essere un’occasione per tornare a investire nel Servizio civile universale (Scu), nella prospettiva già avviata della riforma del 2016. Un modo per dedicarsi alle fasce più deboli della popolazione, affiancando una realtà giovanile alle strutture istituzionali e alle forme organizzate come la Protezione civile. Con in più il merito di offrire un’utile opportunità formativa al senso civico e nell’ottica costituzionale della “difesa della Patria” (declinata anche in chiave europea), un modo per mobilitare risorse rivolte alle persone, finendo per promuovere una cittadinanza attiva e responsabile ponendo la massima cura nella qualità della proposta e della formazione. Vale la pena pertanto sollecitare l’opinione pubblica – come va facendo “Avvenire” – e attuare una pressione efficace sulla compagine governativa perché si compia un effettivo passo avanti. Dando un segnale. Rinviando le scelte ottimali a un futuro si spera non tanto lontano, si potrebbe intanto, con poche centinaia di milioni di euro all’anno coinvolgere tutte quelle migliaia di giovani che, pur avendo generosamente fatto domanda, non hanno avuto la possibilità di entrare nell’ultimo bando per il Servizio civile volontario. Sarebbe un primo passo, giustificato anche dalla gravità della situazione attuale. I 20 milioni in più previsti nel Decreto Rilancio sono un primo segnale significativo in questa direzione, ma – a detta degli enti e, soprattutto, dei volontari, che hanno lanciato anche un appello in questo senso – ancora insufficiente a coprire le richieste dei giovani.

Proviamo ad evidenziare tre proposte “minime” e praticabili a breve.

1) Un finanziamento adeguato per il Scu, così da permettere l’avvio di almeno 50mila giovani all’anno (le risorse attuali ne permetteranno il prossimo anno, secondo i calcoli più ottimistici, circa 30mila). Tradotto in termini economici significano circa 300 milioni all’anno, da garantire anche negli anni successivi.

2) Un riconoscimento del ruolo del Scu che può essere strategico nei prossimi mesi su due livelli: da un lato di prossimità al territorio, in rete tra soggetti pubblici e del Terzo settore, garantendo anche attività di welfare leggero, dall’altro coinvolgendo una fascia di giovani dai 18 ai 29 anni che potrebbero essere tra i più svantaggiati dalla crisi in corso.

3) Un ruolo del Scu in rete con altre e alte Amministrazioni pubbliche (per esempio: Ministero della Famiglia, Ministero dell’Ambiente, ecc...) con l’avvio in sinergia di specifiche progettualità nella gestione dell’emergenza in corso. Per il futuro si dovrà andare nella direzione di un Servizio civile universale “obbligatorio”, proprio per rendere consapevoli le nuove generazioni di ciò che comporta la partecipazione alla cittadinanza, per esercitare, anche se per pochi mesi, in maniera intensa, il proprio sentirsi parte di una collettività, facendo pratica di diritti e doveri. Allo stesso tempo occorrerà farsi carico delle difficoltà vissute dai giovani al momento di entrare nel mondo del lavoro, situazione che li vede svantaggiati rispetto ai coetanei europei; una preoccupazione che potrebbe essere risolta, collegando maggiormente l’eventuale Servizio civile obbligatorio al periodo scolastico, magari rivisitando alcuni aspetti di quella che è stata l’alternanza scuola–lavoro, o con un effettivo riconoscimento della sua valenza in ambito di concorsi pubblici. Sul discusso tema della obbligatorietà, a fronte di pur innegabili problemi tecnici da risolvere (pensiamo ad esempio a come garantire la qualità di un’esperienza su una platea potenziale di oltre 400mila giovani all’anno), occorre prendere atto che sono molti gli argomenti che consigliano di andare in questa direzione. Le tante necessità sociali, le nuove povertà, ma la fatica stessa di vivere in un contesto che integri le differenze (pensiamo a quelle di genere ad esempio: già oggi circa 2/3 di chi fa servizio civile è donna), la crisi inevitabile del welfare, talvolta non ripensato e spesso in scarsità di fondi, la stessa ridefinizione del lavoro e del fattore tempo nella vita delle persone, e infine vorrei dire la crisi della democrazia e del senso condiviso di una comune appartenenza secondo la stessa visione costituzionale di solidarietà che non può che comportare una visione di sussidiarietà rispetto la dimensione statale.

Presidente di Argomenti2000

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