C’erano una volta i valori condivisi. Anche in tempi di vibranti contrapposizioni ideologiche, rimaneva un consenso di fondo intorno ad alcuni principi basilari incardinati nella Carta costituzionale. Per esempio il rifiuto del fascismo con i suoi corollari: razzismo, antisemitismo, nazionalismo aggressivo. Ci si poteva combattere aspramente nei comizi e nelle aule parlamentari, ma rimanevano dei paletti invalicabili: delle parole impronunciabili nel discorso pubblico, dei concetti espunti dai consessi democratici per sempre, o almeno così si pensava.
Il voto del Senato sulla proposta della senatrice Liliana Segre di istituire una "Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza" ha invece avuto come primo effetto la drammatica conferma della rottura del consenso costituzionale attorno ad alcuni valori fondanti della nostra convivenza sociale e politica.
L’invocazione della difesa della libertà di espressione, l’evocazione di pericolose "cacce alle streghe", o il pretestuoso e strumentale richiamo alla mancata citazione dell’anticristianesimo tra i contenuti dei discorsi d’odio suonano stonati se si legge il testo della mozione. L’istituenda Commissione non ha il compito di comminare condanne, né di esercitare compiti di censura. Molto più prudentemente, il Senato le attribuisce compiti di osservazione e studio; d’indirizzo per la concreta attuazione delle Convenzioni internazionali; di stimolo e di proposta al Parlamento; di raccolta e diffusione di studi e ricerche. La facoltà forse più incisiva tra quelle previste consiste nella possibilità di segnalare agli organi di stampa e ai gestori di siti internet eventuali casi di intolleranza, razzismo, istigazione all’odio, richiedendone la rimozione. Ed è forse questo che ha fatto paura a chi fa uso di questi linguaggi per raccogliere consenso e caratterizzare la sua offerta politica come alternativa a tutto ciò che oggi viene catalogato come inviso "politicamente corretto".
Se dunque c’è un dubbio da sollevare nei confronti della decisione del Senato, questo riguarda semmai la timidezza della proposta, la mancata dotazione di fondi, personale, strumenti operativi per incidere davvero nei confronti di un’inquietante deriva del discorso pubblico contemporaneo. Non si cita per nulla l’Unar, l’Ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali, che andrebbe invece focalizzato sul suo proprio compito, e dunque rilanciato, potenziato e trasformato in un’Autorità indipendente. Manca di fatto in Italia una seria strategia di raccolta di informazioni e dati sul razzismo, di approfondimento delle sue cause e manifestazioni, di elaborazione di strategie di prevenzione e contrasto. Tutto questo richiede investimenti, legittimazione pubblica e quindi volontà politica.
La materia è complessa, se si pensa al fatto che i produttori di discorsi d’odio su grande scala hanno sede all’estero o si nascondono facilmente dietro l’anonimato. Anche a livello internazionale i progressi nella lotta contro l’intolleranza in rete sono lenti e contrastati. Avanza però la consapevolezza che gli appelli illuministi al ruolo dell’educazione, alla formazione delle coscienze e al buon uso dei media non siano sufficienti a frenare la marea montante. Servono al più presto azioni incisive e articolate: dallo studio dei fenomeni, alla promozione di azioni positive, alle ben calibrate sanzioni civili e penali verso chi scambia la libertà di espressione con il diritto di propagare intolleranza e discriminazione.