Il viaggio di papa Francesco in Iraq può essere letto sotto diversi profili. Si è detto che si tratta di un viaggio storico, ed è certamente vero, ma si rischia di non capirlo fino in fondo se si dà all’aggettivo "storico" un senso superficialmente mediatico. Voglio dire che, almeno dal mio punto di vista, il primo orizzonte da cui guardare ai giorni iracheni del Papa è quello della fede.
Si è parlato di Abramo. È vero: la componente abramitica di questo viaggio è fondamentale. Ma si tratta di una prossimità ad Abramo intimamente connessa all’esistenza stessa del Santo Padre. Abramo c’entra anzitutto perché il viaggio di Francesco è stato un atto di fede, un modo di esprimere il proprio essere da parte di un uomo che ha fatto della semplicità dell’Evangelo la stella polare del suo ministero romano. Questo viaggio dice insomma la fede del Papa, la sua apertura al rischio, la sua convinzione che bisogna mettersi in gioco radicalmente, soprattutto oggi. Lasciare le proprie certezze, la propria terra, i propri punti fermi, per affidarsi a Dio, prima di ogni altra considerazione. È questo spirito che fa del pellegrinaggio in Iraq un evento della storia di Abramo, perché dice la fede profonda di un credente.
Una fede – ed è questo il secondo aspetto che mi colpisce – intesa come un andare incontro all’altro, in maniera radicale e nel nome di un Dio che è venuto incontro agli uomini, che ha dato sé stesso per questo, come ci ha spiegato la vicenda di Gesù di Nazareth.
Senza Fratelli tutti non ci sarebbe stato l’Iraq. Francesco è partito perché le parole dell’Enciclica non sono una pura esortazione. E ha sentito che doveva testimoniare, lui per primo, la necessità assoluta di una fraternità integrale, di un riconoscimento dell’altro come fratello che precede ogni punto di vista politico o religioso. Francesco è stato un grande cristiano in Iraq perché è stato un uomo che si è messo di fronte ad altri uomini, li ha guardati negli occhi, ha parlato dal cuore. Questa componente umana è decisiva nel magistero del Papa ed è proprio per questo profondamente cristiana e, direi, profondamente francescana. Come il suo ispiratore, come colui di cui porta il nome, Francesco è andato a dire in Iraq che per chi crede non ci sono nemici.
È questa la logica stupefacente del Vangelo, nella sua voluta e assoluta ingenuità politica, che non vuol dire mancanza di intelligenza o di riflessione ma – etimologicamente – libertà, schiettezza e, io aggiungerei, capacità di generare, di far nascere nel segno della nobiltà d’animo e della verità. Solo da questo punto di osservazione credo si possa capire la dimensione religiosa del viaggio. A Ur dei Caldei il Papa incontra i suoi fratelli in Abramo non da figlio ed erede privilegiato, ma da fratello accanto ad altri fratelli. Il senso religioso del viaggio consiste, secondo me, nella rinunzia a ogni affermazione di primato, per essere insieme figli di uno stesso padre nella fede. Questa appartenenza comune non è esclusività. Abramo è padre delle genti, capostipite dell’umanità.
Grazie a questa prospettiva universale nell’incontro di Ur le religioni non sono apparse vessillo identitario che divide, bensì potenza che unisce, forza che sbriciola i muri e annuncia la pace tra gli uomini. La religione è infatti, intimamente, il riconoscimento di aver bisogno dell’Altro per esistere. E dove non prevale l’io, dove non si inneggia al primato dei 'miei', dei 'nostri', lì comincia la pace. Questo credo abbia detto Francesco e abbia detto al-Sistani nel loro incontro sobrio e intenso.
Solo in questo contesto si può parlare di 'politica'. Non in un’accezione riduttiva, ma alta. Il viaggio di Francesco è stato politico nel senso del prendersi cura della polis. Qui la polis è lo spazio comune delle Chiese, con una apertura benedetta della Chiesa latina verso l’Oriente, ma è anche la città degli uomini, che oggi più che mai ha bisogno di princìpi di dialogo e di cooperazione per far sì che il domani non sia tempo di guerra e di conflitti divisivi e distruttivi bensì tempo di accordo e di condivisione a partire da quel Medio Oriente che è luogo altamente simbolico da questo punto di vista. Non furbizie diplomatiche, ma spirito di incontro e di collaborazione per una politica di pace: questo il messaggio politico del viaggio del Papa. E per questa profezia, che ha toccato i tanti che l’hanno incontrato, parlando ai giovani, alle donne, a tutti i sofferenti, dobbiamo tutti di cuore ringraziarlo.
Arcivescovo di Palermo