È una fredda mattina di gennaio. Al quartiere Duchesca, pochi passi da Forcella, una bambina cammina tra le bancarelle tenendo per mano il suo papà. Accade tutto all’improvviso. Da una motocicletta qualcuno spara dei colpi di pistola. La bambina si accascia, è stata colpita a un piede. Con lei, restano feriti tre venditori ambulanti senegalesi, forse i veri bersagli della rappresaglia. La scena che ne segue è quella solita. La gente grida, scappa, si nasconde dietro le auto in sosta o i bidoni della spazzatura. La bambina, che ci piace chiamare Giacinta, viene trasportata in ospedale, per fortuna è solo ferita.
Il pensiero corre ad Annalisa Durante, uccisa per errore, a 14 anni, a Forcella. «Vorrei fuggire, a Napoli ho paura» aveva scritto la ragazza nel suo diario. Non ne ebbe il tempo. Maikol Russo, invece, si preparava per il cenone di san Silvestro, quando, sempre a Forcella, sempre per errore, cadde sotto i colpi di pistola di giovanissimi, spietati e inesperti camorristi. Aveva 27 anni. Volò via senza accorgersene, senza inveire, senza capire.
Dopo ogni agguato arrivano telecamere e giornalisti. È un bene. La città deve essere conosciuta in tutte le sue sfaccettature, senza esagerazioni e senza ipocrisie. Napoli è città bella e complessa. A Napoli l’arte, la musica, la cultura, le eccellenze debbono fare i conti con la camorra, la disoccupazione cronica, la corruzione, il degrado dei quartieri a rischio. Napoli è Mergellina e Posillipo ma anche Miano, Scampia e il Pallonetto. Per raccontarla, senza tradirla, i riflettori vanno posizionati in tutti i luoghi. Esagerazioni, negazioni, omissioni, miopie vengono pagate a caro prezzo.
Dopo il ferimento di Giacinta il quartiere ripiombò nel buio. La gente in queste zone parla poco, è prudente, ha paura, sa bene come andrà a finire. Prima di tacciare di omertà i cittadini costretti a convivere gomito a gomito con i camorristi e i loro scagnozzi, è sempre bene pensarci su due volte.
Non tutti tacciono, però. C’è un uomo che davanti alle telecamere parla senza remore. Nessuna rivelazione, niente di nuovo, dice cose che tutti sanno e hanno fretta di dimenticare. Punta il dito sul degrado del quartiere, racconta come è difficile vivere alla Duchesca. Questa persona si chiama Ciro Scarciello. La sua famiglia in quella zona si tramanda un negozio di salumeria da quattro generazioni. Ciro si dice sfiduciato, addolorato. Parla troppo, Ciro, e questa cosa da quelle parti non è permessa. Le regole non scritte sono chiare: se non ti conviene te ne vai. E se non ti decidi da solo potresti essere costretto a farlo. La gente è stanca dei soprusi, dei pericoli; a tutto c’è un limite, anche alla paura. Ciro sa di non essere solo ma sa anche che la quotidianità pesa, che tanta gente ha paura di quelli che comandano. Che basta poco per intimidire le donne e costringerle a non recarsi a fare la spesa da quell’uomo che parla troppo e rompe gli equilibri.
Ciro Scarciello ha tenuto duro sette mesi, nonostante il negozio rimanesse deserto durante la giornata. Ha sperato che qualcosa cambiasse, che la politica cittadina gli desse una mano. Concretamente. Alla fine ha ceduto. Ieri sera per l’ultima volta si è recato nella salumeria, gli occhi lucidi, il cuore a lutto, la rabbia dentro.
Non era solo, con lui tanta gente ha voluto testimoniare il suo no alla camorra, il desiderio di giustizia, la sete di libertà, di verità. Di dignità. Ieri ho voluto esserci anch’io a stringergli la mano, a dirgli grazie, a ripetergli che stiamo soffrendo con lui e per lui. A gridare al mondo della politica, delle istituzioni, del volontariato, della Chiesa, del commercio che quella saracinesca chiusa è un obbrobrio, una sconfitta per tutti. Quella saracinesca da ieri è assurta a icona. Una tristissima, malinconica, lugubre icona. Sta a dire che nei quartieri a rischio di Napoli, per quanta retorica si faccia, vivere da persone civili e perbene è difficile. Che chi non intende rinunciare ai propri diritti, alla propria dignità sovente è costretto a fare le valigie e andarsene. Se fossi pittore vorrei dipingere di colore nero e lasciare ai posteri quella saracinesca mentre, per l’ultima volta, viene tirata giù da un uomo che non volle piegare il capo davanti alla camorra.
Un uomo onesto costretto a farfugliare: «Avete vinto voi… Se dicessi che non fa male il cuore mentirei; se mi sentite dire che non ho paura non credetemi».