sabato 21 gennaio 2023
Sessant’anni dopo l’abbraccio tra de Gaulle e Adenauer, che chiuse una lunga e tragica storia di concorrenza e ostilità, Francia e Germania si scoprono di nuovo lontane
Un recente incontro tra Emmanuel Macron e Olaf Scholz

Un recente incontro tra Emmanuel Macron e Olaf Scholz - Reuters

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Il fervore e l’ardore, si sa, ribollono innanzitutto fra i giovani. Ma a proposito delle relazioni franco-tedesche, sulle opposte rive del Reno questi sentimenti sembrano invece latitare ormai persino fra i teenager. Così, 60 anni dopo la firma bilaterale dello storico Trattato dell’Eliseo (22 gennaio 1963), con quell’abbraccio memorabile fra Charles de Gaulle e Konrad Adenauer, paiono a tratti di nuovo a rischio le speranze di una convergenza autentica fra i due giganti dell’Europa continentale, la cui riconciliazione post-bellica è divenuta non a caso il simbolo forte della ritrovata pace continentale. Sul piano formale, i due esecutivi hanno tenuto a onorare l’anniversario con una cerimonia parigina solenne alla Sorbona, in presenza del cancelliere Olaf Scholz, invitato dal presidente Emmanuel Macron. Ma, nel frattempo, tanto i sondaggi quanto le analisi di media ed esperti confermano un clima pesante.

Per l’anniversario, un importante organismo nato proprio con il Trattato dell’Eliseo, l’Ufficio franco-tedesco per la Gioventù, ha commissionato all’istituto Kantar uno studio inedito sui giovani dei due Paesi, con risultati non proprio esaltanti. Innanzitutto per meno di un quarto (24%) dei 3mila under 27 sondati — 22% fra i tedeschi e 26% fra i francesi — c’è un’«amicizia» bilaterale. Tanti altri preferiscono parlare, in prima battuta, di «vicinato» (28%), «partenariato » (21%) o persino «concorrenza» (9%). Inoltre, quasi un quinto (18%) non se la sente di rispondere, lasciando trasparire un’ombra d’indifferenza o abulia. Non proprio grandi effusioni, insomma. Quest’apparente disincanto fra i giovani pare fare il paio con tanti altri altri segnali, mediatici e persino istituzionali. Il settimanale tedesco Der Spiegel e il quotidiano progressista di Monaco di Baviera Süddeutsche Zeitung confermano una fase quanto meno complessa. «Qualcosa scricchiola tra Parigi e Berlino», sottolineava la SZ a fine ottobre, poco prima di una visita ufficiale di Scholz all’Eliseo. Pochi giorni fa, invece, il settimanale Der Spiegel ha voluto descrivere con il termine entfremdung (distanziamento) l’alienazione che si sta creando tra le due potenze europee.

In corrispondenza dell’anniversario – domani – persino una fonte dell’Eliseo evita ogni slancio eccessivo: « È chiaro, in ogni caso, che non abbiamo mai cessato di parlarci, che il dialogo non si è rotto, che i contatti sono stati estremamente regolari, dal mese d’ottobre, sull’insieme dei temi e che adesso giungiamo a un momento in cui speriamo di essere capaci d’offrire una visione comune su quelli che dovrebbero essere i nostri obiettivi sulle grandi questioni europee che struttureranno l’agenda e i nostri piani comuni nelle prossime settimane e i prossimi mesi». Ma il processo della entfremdung franco- tedesca potrebbe conoscere ulteriori sviluppi. Sembra trascorsa un’intera epoca da quel 19 gennaio 2019 ad Aquisgrana, quando la cancelliera Angela Merkel firmò con Macron un patto «sul lavoro comune e l’integrazione economica, industriale, politica e militare tra Germania e Francia». Promesse sottoscritte in diretta tv davanti a decine di studenti ma anche di politici pronti a seguire la linea tracciata dai due leader. Macron si fidava di Merkel e del suo carisma. A nome dell’Ue, l’aveva seguita a Minsk per cercare di gettare le basi, con Vladimir Putin, d’una pace duratura tra Russia e Ucraina. Oggi, quegli accordi sono trapassato remoto.

Proprio all’uscita dal tunnel della pandemia, l’orrore della guerra è tornato ai confini europei, ribaltando o almeno mettendo a dura prova, princìpi e idee su cui si erano costruiti decenni di rapporti franco- tedeschi. La Germania nell’era Merkel, indiscussa locomotiva economica e industriale europea, costruiva la sua potenza produttiva ed esportatrice sul gas russo: 55 miliardi di metri cubi di metano all’anno, che sarebbero dovuti diventare 110 con il Nord Stream 2, il raddoppio del gasdotto dalla Siberia alle coste tedesche sul Mar Baltico. Il progetto è sempre stato osteggiato da Washington, ma anche guardato con sospetto da Parigi, prima che il 26 settembre del 2022 entrambe le condutture saltassero. Il sabotaggio, di cui ancora non sono stati accertati i responsabili, ha comunque posto fine all’import tedesco di gas russo. La Germania cerca dunque alternative: oltre al gas liquefatto americano, non si esclude di tornare a puntare sull’energia atomica. Come, appunto, i francesi. Ma Berlino difficilmente eviterà la recessione, prevista e confermata dai più autorevoli istituti economici. Il governo di Berlino, non più guidato da Merkel ma dal socialdemocratico Scholz, suo ex ministro delle Finanze, cerca una nuova identità geopolitica e sta tentando in tutti i modi di non inserire la retromarcia nella locomotiva economica ed industriale d’Europa. Scholz ha lanciato un piano da 200 miliardi di euro per aiutare cittadini e imprese a fronteggiare il caro-energia. Un fiume di denaro pubblico che renderà le aziende tedesche più competitive rispetto a quelle del resto d’Europa e quindi anche della Francia.

Il cancelliere ha ricostruito, con non poche difficoltà, le relazioni con Kiev e ha lanciato il più grande piano di riarmo tedesco dalla fine della seconda Guerra mondiale: 100 miliardi di euro da mettere subito a bilancio. Ma finora ne sono stati investiti poco più di 8,5 per 35 caccia di quinta generazione prodotti dal colosso statunitense Lockheed Martin. Un acquisto che ha rischiato di far saltare il « Future Combat Air System», o Facs: i caccia europei sponsorizzati soprattutto da Macron, che saranno operativi non prima del 2040. Nel frattempo, alcuni esperti osservano che i vecchi equilibri bilaterali sono alterati pure da un altro fattore: la progressione francese quale nuovo “forziere” europeo. Soprattutto dallo scorso novembre, quando la Borsa di Parigi ha clamorosamente scalzato la City di Londra come prima piazza finanziaria continentale per capitalizzazione azionaria. Se confermato nel tempo, quest’inedito primato finanziario promette di sommarsi alla tradizionale preminenza diplomatica di Parigi indispettendo certamente i tedeschi, fin qui abituati a guardare l’economia francese con un pizzico di condiscendenza, dall’alto della loro ‘fortezza’ industriale.

Ma allora, fra così tanti pezzi del puzzle da risistemare, a cosa potrà aggrapparsi la «coppia franco-tedesca», secondo l’espressione in uso, in realtà soprattutto a Parigi? Di certo, pure alle realizzazioni concrete comuni di questi ultimi 60 anni, come la rete tv culturale binazionale Arte, considerata da molti addetti ai lavori come un modello pionieristico di riferimento per i futuri partenariati culturali europei. Ma al contempo non si può trascurare quel dente che oggi duole tanto: i giovani e la loro apparente “apatia” verso le opposte sponde del Reno. Così, nelle rispettive scuole, i due Paesi cercheranno di fare più spazio alla lingua dell’altro. Una questione altamente strategica, non a caso affrontata pure dal Consiglio dei ministri franco-tedesco parigino a margine delle cerimonie per i 60 anni, come conferma una fonte all’Eliseo, evocando «una trasferta del ministro dell’Educazione nazionale a Berlino che era sfociata a fine novembre nell’adozione di una nuova strategia volta ad accrescere il numero di alunni e studenti che imparano la lingua del partner ». Adesso giunge l’ora di «fare effettivamente il punto sulla realizzazione operativa di questa strategia». Nulla di più urgente che rimettersi a seminare, insomma, per scongiurare tempi futuri di carestia.

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