Come in un’ideale sinfonia, il viaggio del Papa in Terra Santa inizia con una grande ouverture. Uno spartito che mette al centro la pace, dono di Dio e insieme frutto del nostro impegno, della nostra testimonianza. La parola chiave è allora "armonia", colonna sonora dello Spirito e sintesi tra le differenze, musica, per così dire, del cammino di riconciliazione, dell’unità che nasce da diversità pacificate. Non a caso il richiamo alla bellezza della varietà parte proprio dalla Giordania, terra di contrasti sanati, casa accogliente per popoli altrove nemici, terreno di serena convivenza tra le fedi. Sale da qui l’appello, forte e umile allo stesso tempo, per la pace in Siria, per lo stop alle violenze, per il rispetto dei diritti umani, soprattutto di chi soffre. Il modello non può che essere Gesù, l’umiltà del servo per amore, che si china sulle ferite del nostro tempo per guarirle. E le sofferenze, in Medio Oriente più che altrove, sono il risultato di conflitti ancora aperti, di negoziati rifiutati e boicottati, di fratelli guardati e combattuti come nemici.Persino i luoghi di Gesù, a cominciare dal Santo Sepolcro memoria della morte e risurrezione del Signore, sono diventati nel tempo simboli di divisione. E qualcuno vorrebbe che lo stesso accadesse per il Cenacolo dove domani Francesco celebrerà la Messa. E invece papa Bergoglio è venuto in Terra Santa, attraverserà Betlemme e Gerusalemme, con obiettivi diametralmente opposti. Nei luoghi della vita terrena di Cristo, dal sito del Battesimo al Getsemani, risuonerà la sua preghiera di apostolo del dialogo, di testimone disarmato, di profeta della riconciliazione.
Ut unum sint è il motto del viaggio, eco della preghiera di Gesù e insieme titolo di un’enciclica con cui papa Wojtyla volle richiamare l’irreversibilità dell’impegno ecumenico, di cui lo storico abbraccio tra Paolo VI e Atenagora resta l’immagine più significativa.Cinquant’anni dopo, l’incontro tra Francesco e Bartolomeo, o meglio tra Pietro e Andrea, non sarà, non potrà essere una semplice "ripetizione". Dalla Terra dove è tutto è cominciato, parte un nuovo inizio. Nel Santo Sepolcro, dalla contemplazione della tomba vuota, tornerà a risuonare l’invito a essere uomini e donne del dialogo, testimoni non di morte ma di risurrezione. Nella fedeltà al Vangelo, perché solo l’amore è la strada che conduce alla vita vera. Un sentiero che passa per l’attenzione all’altro, si alimenta di preghiera, cresce nella misura in cui si è capaci di compassione verso chi soffre. A ben vedere sono gli stessi ingredienti riassunti nella parola "pace". Un dono che chiama e manda, non accetta la comodità ma fa sporcare le mani, non incorona di gloria ma è spesso l’esito di sofferenze e fallimenti.Unti dallo stesso Spirito, ha detto Francesco, ieri ad Amman, siamo inviati come messaggeri e testimoni di pace. Missionari che non hanno paura delle sconfitte, soldati disarmati al servizio della verità, uomini e donne ricchi non di denaro, ma di misericordia. Perché la pace, ha detto ancora Francesco, non la si può comperare, «è un dono da ricercare pazientemente e costruire artigianalmente mediante piccoli e grandi gesti che coinvolgono la nostra vita quotidiana». Note, accordi di uno spartito che vuole diventare musica dello Spirito. Che vuole essere armonia.