«Qualcuno crede che la vita trattenga tutte le sue felicità nella giovinezza e nel passato, e che il vivere sia un lento decadimento. Altri ancora ritengono che le nostre gioie siano solo episodiche e passeggere, e nella vita degli uomini sia iscritto il non-senso. Quelli che davanti a tante calamità dicono: "Ma, la vita non ha senso. La nostra strada è il non-senso". Ma noi cristiani non crediamo questo».
Le parole del Papa ieri in Udienza sembrano dette apposta per tanti di noi, che ogni giorno ascoltiamo le notizie dal mondo e, pure nella nostra relativa tranquillità, ne siamo scossi come dal tuono di una tempesta che si avvicina.
Barcellona è l’ultimo tuono, con il suo oscuro retroscena di trame efferate, con il sogno maligno di attaccare la Sagrada Familia – l’ultima grande cattedrale che va ancora sorgendo, altissima e audace, nei cieli d’Occidente. Un tuono quello di Barcellona, e nei nostri occhi i volti delle vittime inermi, colte in un una passeggiata sulla Rambla, gonfia di vita. E il pensiero, poi, che tutta l’Europa, le nostre piazze, le nostre stazioni sono come Barcellona; e che i nostri figli le percorrono ogni mattina. Quel pensiero come un tarlo: siamo finiti in un mondo di non-senso, nel dominio di un Caso cieco che annienta senza una ragione le nostre speranze? Dubitiamo anche noi, di fronte alle vite di ragazzi e bambini spezzate come in un’assurda lotteria, che la nostra strada sia un non-senso?
Ma, avverte pacatamente il Papa, «noi cristiani non crediamo questo. Crediamo invece che nell’orizzonte dell’uomo c’è un sole che illumina per sempre». Siamo dunque uomini, ci chiede Francesco, di primavera o di autunno? Vediamo «i germogli di un mondo nuovo, piuttosto che le foglie ingiallite sui rami?».
Una domanda che può mettere in crisi, specialmente in questa stagione, quando il sole è ancora caldo, eppure come appena intorpidito; quando, dopo un’estate riarsa, le foglie precocemente si prosciugano e cadono. E di quel loro correre a mulinelli nel vento chi è giovane sorride, ma chi non lo è più può anche sentirsi quasi come una foglia portata via. Noi cristiani però, ci ricorda il Papa, «non ci culliamo in nostalgie, rimpianti e lamenti: sappiamo che Dio ci vuole eredi di una promessa».
Noi siamo gente di primavera o di autunno?, ci viene chiesto da Francesco, e torna in mente quel passo della Spe salvi dove Benedetto XVI affermava: «Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente. (...) Il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita».
Una fede che cambia lo sguardo, che cambia la vita. È una domanda che dovremmo avanzare ogni mattina, rinnovando lo stupore per ciò che ritroviamo davanti ai nostri occhi. E invece è così facile abituarsi, e dare tutto ciò che abbiamo per scontato. È così facile e quasi naturale, agli uomini che invecchiano, affermare che il mondo della loro gioventù era molto migliore, e che l’oggi ne è una evidente decadenza. È così facile smettere di avere speranza, e diventare "gente d’autunno".
Belle utopie, potrebbe rispondere qualcuno. Ma guardiamoci intorno, nelle strade di questo Occidente, e vediamo come per tanti gravano gli anni oppure la malattia o la solitudine e l’emarginazione, nella indifferenza di troppi. Eppure, insegna ostinato il Papa, «noi crediamo che i giorni più belli devono ancora venire». Il futuro «è l’abbraccio di Dio che ci attende alla fine, ma già ora ci accompagna e ci consola nel cammino (...). E sarà bello scoprire in quell’istante che niente è andato perduto, nessun sorriso e nessuna lacrima».
Come si farà a vivere così, in una tale certezza, fiera tanto da sfidare il male che ci domina, e la morte che, essendo uomini, ci fa paura? Che sia forse uno sforzo della volontà quello che ci manca, un "volli, volli, fortissimamente volli"? No. Questa fede è il frutto di una domanda, ogni nuovo giorno: poter vivere in Cristo. (E se poi un giorno ci sembrasse che di questa domanda non ci sia bisogno, di essere già "a posto", attenzione, perché il credere di bastare a se stessi è l’inizio della lontananza).
È facile, questo vivere in una domanda? No, e anzi può essere drammaticamente difficile, dentro a un lutto, a una sofferenza o povertà. Ma già una tale domanda, anche fosse solo un grido, ci rende differenti da coloro che, vedendo il male, credono che ne saranno sommersi; da quelli che, abbagliati dalla violenza, si convincono che siamo governati da un Caso cieco e feroce. «Noi cristiani non crediamo questo», ci ricorda il Papa mentre il terrorismo islamista di nuovo allunga la sua ombra sulle nostre città. Noi, crediamo che c’è un sole che ci illumina per sempre. Cristo nato da donna, morto in Croce e risorto, è questo sole. È questo abbraccio: in cui, vedremo un giorno, nessuna lacrima sarà andata perduta.