Ansa
Caro direttore,
l’epidemia di Covid–19 sta fermando il mondo. Si tratta di un’esperienza che segnerà per sempre questa generazione e che mette profondamente alla prova la capacità del genere umano di imparare dai propri errori e superare la crisi con coraggio e determinazione. L’Italia è stata messa in ginocchio: il nostro Paese è il secondo al mondo per numero di contagi, mentre le vittime stanno rapidamente avvicinandosi ai numeri della Cina, cosa che fino a qualche settimana fa rappresentava una prospettiva impossibile, distante anni luce, come in un film distopico. Stiamo sperimentando sulla nostra pelle le conseguenze di una globalizzazione che abbiamo incoraggiato senza dotarci degli strumenti per governarla efficacemente.
Abbiamo creato mercati finanziari globali, sistemi di produzione senza confini (attraverso i quali puoi ordinare un qualunque prodotto in giro per il mondo e averlo recapitato a casa in pochi giorni), ma non ci siamo dotati di un sistema di salute altrettanto integrato, protocolli comuni per far fronte alle emergenze o un sistema di coordinamento politico all’altezza. Lo vediamo con questa Europa, apparentemente mercato unico senza confini, dove si litiga per le mascherine invece di dimostrare solidarietà e approcci comuni. Abbiamo creato la globalizzazione dei prodotti, senza pensare a cosa fare nel caso della globalizzazione dei problemi. In questo, l’epidemia di Coronavirus ricorda la crisi dei cambiamenti climatici: in ambedue i casi abbiamo deciso di ignorare il messaggio della scienza, che da decenni ci informa sugli impatti devastanti.
Abbiamo avuto Sars e Mers, due precedenti epidemie causate da coronavirus, un agente patogeno trasmesso dagli animali all’uomo anche in virtù di un modello di sviluppo che sta distruggendo gli ecosistemi naturali. Eppure abbiamo fatto finta di nulla. Questa volta non possiamo essere ciechi di fronte all’evidenza. Dobbiamo imparare la lezione e dire: nulla sarà come prima. In Italia, dobbiamo riconoscere l’errore imperdonabile di aver indebolito il Servizio sanitario nazionale, frammentandolo a livello regionale e riducendo drasticamente i posti letto.
Le salute è un bene comune: oggi sono i Paesi con la migliore sanità pubblica a dimostrarsi più resilienti. Dobbiamo rilanciare i finanziamenti alla ricerca, perché i vaccini, i farmaci, le tecnologie non sbucano dal cappello di un prestigiatore, ma sono il frutto di dedizione, esperimenti e fallimenti di migliaia di ricercatori che spesso operano nel silenzio. Dobbiamo sostenere tutte le nostre imprese, soprattutto quelle piccole, gli esercenti e i liberi professionisti, perché sono loro a tenere in piedi la nostra economia, tutti i giorni, anche quando gli investitori stranieri fuggono all’estero, soprattutto in tempi di crisi.
Nell’emergenza, è giusto sospendere le rate dei mutui e delle bollette, garantire maggiori flessibilità a chi ha bisogno di credito, e fornire cassa integrazione per tutti i lavoratori e un “reddito di quarantena” per chi ha una partita Iva e per chi non può accedere ad ammortizzatori sociali. Abbiamo finalmente scoperto le virtù del lavoro agile e dell’insegnamento innovativo: ora è il momento di renderli non solo una pratica emergenziale, ma sempre più strutturale. Un’amministrazione digitale, che migliora la qualità dei servizi; lo smart working, che ci rende più produttivi, più equilibrati nella gestione del tempo professionale e personale e decongestiona il traffico; la scuola innovativa, che ottimizza insegnamento in classe con strumenti digitali, magari garantendo didattica di qualità anche nelle zone più remote, evitando lo spopolamento delle aree interne.
In Europa, abbiamo bisogno di una vera inversione di marcia. Il Patto di Stabilità e Crescita e il pareggio di bilancio sono morti con Covid–19. La mancanza di solidarietà e di coordinamento ha reso l’Unione Europea il lazzaretto del mondo, con gli Stati membri in ordine sparso se non in competizione diretta. Serve un nuovo “patto”, ma questa volta votato alla sostenibilità e al benessere, che permetta al Vecchio Continente di diventare un leader nella salute pubblica e nella prevenzione, nella transizione ecologica dell’economia e nella qualità della vita delle persone.
Il Green New Deal non deve essere solo uno slogan, ma una pratica rivoluzionaria. Un “ whatever it takes” (“qualunque cosa serva”) che dimostri come l’Europa metterà tutte le sue risorse a disposizione di un nuovo corso economico e sociale, per non perdere il senso della sua esistenza. Covid–19 ci ha costretto a fermarci e, speriamo, anche a riflettere. Da un lato ha messo in ginocchio il nostro modello industriale, mettendo in crisi il lavoro e la vita di milioni di persone, ma dall’altro, paradossalmente, ha ridotto massicciamente le emissioni di gas serra nel mondo (oltre il 25% solo in Cina) e ha ripulito l’aria della Pianura Padana dalle polveri sottili.
Non facciamo sì che un ritorno alla normalità significhi rimpiazzare le mascherine antivirali con quelle antismog. Da questa sfida può emergere un’Italia più bella e più sostenibile. Storicamente, i grandi cambiamenti sono avvenuti nei momenti di maggiore crisi. Sta a noi trasformare la tragedia in un’occasione di vero riscatto. Come parlamentari della Repubblica e rappresentanti delle istituzioni, continueremo a impegnare tutte le nostre energie affinché questo accada.
Lorenzo Fioramonti, Rossella Muroni, Nicola Fratoianni, Paolo Lattanzio, Luca Pastorino, Elena Fattori, Paola Nugnes, Andrea Cecconi, Luigi Di Marzio, Peppe De Cristofaro, Francesco Laforgia, Erasmo Palazzotto, Loredana De Petris