«Chi ha poca carità vede pochi poveri, chi ha molta carità vede molti poveri, chi ha nessuna carità non vede nessun povero». Papa Francesco, a Bozzolo, dall’altare dove il 5 aprile del 1959 don Primo Mazzolari, colpito da malore si accasciava durante la Messa, rilancia alla Chiesa la figura, la lezione, gli insegnamenti, lo stile di questo umile, grande e vero prete lombardo. La Chiesa, popolo di Dio, corpo di Cristo, ospedale da campo dell’umanità ferita, cammina nel mondo e con il mondo, per donare al mondo il Vangelo. A volte avanza con passo più lento e riflessivo, altre volte corre, altre volte ancora vola.
E quando si è in cammino, occorre conoscere la strada, evitare le trappole, scegliere i sentieri meno scoscesi. Occorre provvedere agli anziani, ai malati, ai bambini. Loro vanno messi al centro della carovana, per essere meglio sorvegliati, accuditi, tutelati. È l’originale logica del Vangelo: gli ultimi saranno i primi, le prostitute ci precederanno nel Regno dei cieli, ai poveri è annunciato il Regno, chi si esalta sarà umiliato. La Chiesa ha bisogno di pionieri coraggiosi che, noncuranti del pericolo, si offrono di andare in avanscoperta. Esploratori che rischiano la vita perché più speditamente i fratelli giungano alla meta. Guerrieri valorosi che mettano in conto il rischio di cadere sotto i colpi del nemico.
La Chiesa ha bisogno di profeti. Don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani sono stati profeti, vedevano lontano. E per questo, non poche volte, hanno dovuto bere il calice amaro dell’incomprensione da parte della stessa Chiesa.
Paolo VI, ricevendo, in Vaticano, pochi anni dopo la sua morte, la sorella di don Primo, Giuseppina, ebbe a dire: «Suo fratello ha sofferto e ci ha fatto soffrire. La colpa non fu di nessuno. Lui correva troppo e noi si arrancava a stargli dietro». I profeti sono fatti così. Severi e misericordiosi. Aspri eppure dolcissimi. Sanno di correre troppo, ma non ne possono fare a meno. Lo Spirito, che sofffia dove vuole e su chi vuole, li spinge oltre i confini che la pigrizia umana, le consuetudini, le abitudini, le paure, hanno da sempre eretto a difesa di qualche privilegio che si nasconde ovunque. Non è facile rinunciare a qualche beneficio, a qualche comodità, a qualche posizione acquisita, a qualche inutile timore, fosse anche nell’ordine spirituale. Non è facile uscire dalle proprie sicurezze per rimettersi in discussione. Quante battaglie dovrà combattere un cristiano? «Quante volte, Signore, dovrò perdonare mio fratello?». A Barbiana, il Papa rivolto ai sacerdoti anziani ha ricordato: «Non c’è pensione per il sacerdote». Non c’è mai un momento in cui puoi dire 'basta'. Un momento in cui puoi tirare i remi in barca. Duc in altum. Prendi il largo. «Signore, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso niente». Adesso siamo stanchi, vecchi, malati. Lasciaci stare, Signore. Invece, no, è proprio questo il momento di continuare a credere e sperare. Spes contra spem. Non faccio affidamento sulle mie forze, sui miei talenti, ma sullo Spirito che continua a soffiare dove e quando vuole.
Don Primo, parroco d’Italia, oggi insegna a noi parroci il modo migliore per essere parroco. Don Lorenzo, prete d’Italia, ci indica la strada per rimanere nella pace sempre inquieta che la fede ci dona e la coscienza accoglie. Niente è nostro. Di niente siamo padroni. Gesù è innamorato degli uomini, sono suoi, sono stati comprati a prezzo del suo sangue. Vuole che nessuno di loro vada perduto, perciò ci chiede di essere aiutato a recuperare i lontani, a spezzare il pane con gli affamati, a sostenerli, quando, rosi dall’ odio, dalla avarizia, dall’ invidia, sperimentano lo svilimento della loro umanità. Gesù ci chiede di essere portato in tutti i luoghi dove gli uomini vivono, si affaticono, sudano, soffrono, muoiono. Gesù vuole andare a Barbiana, a Bozzolo, a Cicognara, vuole penetrare nelle «periferie» geografiche ed esistenziali dei suoi fratelli. E ci invita a seminare gioia, speranza, carità senza nulla pretendere. La ricompensa è Lui.
Per vedere i poveri occorre mettere occhi e cuore insieme. Chi ha molta carità vede molti poveri. Certo, perché si accorge anche delle povertà più nascoste, quelle di cui ci vergogniamo, che non confesseremmo mai. Povero è chi non ha niente da mangiare e chi non riesce più a sperare. Povero è il giovane senza lavoro e il vecchio senza amore. Povero è chi è convinto che la guerra sia la soluzione ai problemi dell’ umanità, chi continua a pensare che il colore della pelle e il Paese dove si nasce siano discriminanti ed escludenti. Poveri sono i 'caporali' del nostro Meridione che trattano i braccianti come fossero bestie da soma. Poveri sono i fratelli, che muoiono sui gommoni in mare e coloro che in quel mare li hanno spinti. Povero è il ricco, che si affatica per continuare ad accumulare inutili ricchezze. Poveri sono i cristiani, quando si lasciano avvilire dalla paura dei poveri. Poveri siamo tutti, quando ci appropriamo del patrimonio donato agli uomini per farlo diventare nostro. Compreso il patrimonio della fede. Niente è nostro. La carità vede ciò che gli altri non vedono, non possono vedere, non vogliono vedere.
Francesco a Bozzolo, citando Benedetto XVI, ha ricordato che «la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione ». «Mostra a un bambini delle noci – scrive sant’ Agostino – e ti correrà dietro». «Mi sono lasciato sedurre Signore da te», confessa il profeta. L’odio, la gelosia, l’invidia, l’egoismo, l’avarizia non attraggono, allontanano. A sedurre, condurre a sé, affascinare, è la bellezza, la bontà, la comprensione, la condivisione, la generosità. E l’altruismo. E l’amore. Non proseliti, allora, non nuovi schiavi mascherati, non soldati schierati, ma innamorati. Così ci vuole il Signore. «Io so in chi ho creduto» e so anche quanto gli uomini – tutti gli uomini, di tutti i luoghi, di tutti i tempi – siano preziosi ai suoi occhi. «Non dobbiamo massacrare le spalle della povera gente», ha detto Francesco attingendo dagli scritti del parroco di Bozzolo. Poi si è fermato, ha alzato gli occhi dai fogli, ha accennato a una delle sue stupende espressioni con le quali comunica meglio di mille parole, e, scandendo le parole, ha ripetuto: «Non dobbiamo massacrare le spalle della povera gente».
La lezione è per noi preti italiani e per i nostri confratelli sparsi per il mondo. Gesù non ha mai messo pesanti fardelli sulle spalle dei suoi amici, ma li ha invitati a donare a lui i loro pesi, le loro angosce, le ansie e le sofferenze. Don Primo e don Lorenzo, due figli della Chiesa italiana, due preti fedeli alla dottrina, obbedienti alla Chiesa fino a farsi male ma senza rinunciare a quella parresia cui sono chiamati tutti i cristiani. Liberi della libertà dei figli di Dio. Chi ama è sempre un uomo libero. «Pregate per me – ha detto il Papa a Barbiana – perché anch’io prenda esempio da questo bravo prete». Alla scuola di Bozzolo e Barbiana, sotto la guida di Francesco, vogliamo andare a studiare noi preti italiani e stranieri. Possiamo tirare un respiro di sollievo, la strada tracciata da due millenni, viene oggi ulteriormente illuminata da due lampade. Facciamone tesoro.