Caro direttore,
un moto di commossa esultanza e di buona inquietudine. Questo ho provato e provo davanti al messaggio di papa Francesco La nonviolenza: stile di una politica per la pace per la Giornata mondiale della pace 2017. Siamo testimoni di una impegnativa coinvolgente meraviglia. Francesco raccoglie il senso intimo di una variegata sperimentazione personale e collettiva, spesso invisibile, seminata nel mondo. Sembra operare una sorta di ricapitolazione (per tante esperienze), di consolazione (per tante persone), di rigenerazione (per tutta la società). Convoca idealmente davanti alla Chiesa e al mondo l’azione tenace, spesso contrastata o irrisa, di uomini e donne, testimoni del sogno di Isaia e delle Beatitudini di Cristo. Sono «milioni di persone»!, esclama il Papa nel paragrafo in cui parla di Madre Teresa e ricorda le testimonianze di moltissime persone, le storie incarnate in tanti volti: nei santi come Francesco d’Assisi, Teresa di Calcutta, Teresa di Gesù bambino o nelle pratiche socio-politiche promosse da Gandhi, da Abdul Ghaffar Khan, da M. Luther King, dalle «donne che sono spesso leader di nonviolenza», in particolare dalle donne liberiane e da Leymah Gbowee (Nobel per la pace 2011), da chi ha guidato il superamento dei regimi comunisti in Europa, da chi ha lottato per la giustizia senza violenza, da esponenti di tradizioni religiose coscienti che «solo la pace è santa».
Prima e dopo l’uscita del messaggio, Francesco ha fatto anche memoria di Charles de Foucauld con i suoi «piccoli fratelli» e «piccole sorelle», di Zeno Saltini e di Nomadelfia, delle comunità perseguitate in Medio Oriente, dei numerosi martiri cristiani, del dramma di Aleppo, del movimento ecumenico, dei giovani di Taizé... Un popolo in cammino. In piedi davanti all’Agnello! Davanti alla Chiesa. Davanti al mondo. Davanti a noi. La nonviolenza non è, dunque, resa o passività ma è «più potente della violenza». È «attiva» (costruttiva) e «creativa» (trasformatrice). È pratica relazionale e sperimentale. È lo strumento più adeguato per affrontare l’attuale «terza guerra mondiale a pezzi», utile solo a pochi signori della guerra e ai trafficanti d’armi. È un metodo realistico di trasformazione dei conflitti. È geopolitica della misericordia, vera cooperazione internazionale, opera di riconciliazione, gestione e trasformazione dei conflitti.
Diventa impegno per disarmo, riduzione delle spese militari, difesa civile, ecologia integrale, accoglienza e sicurezza comune, buona vita quotidiana e familiare. Il suo obiettivo è lo «sviluppo umano integrale» per il quale è in cantiere un Dicastero vaticano. Il messaggio bergogliano sviluppa le intuizioni di altri Papi: Giovanni XXIII con la Pacem in terris; Paolo VI, con la Populorum progressio e da inventore nel 1968 delle giornate mondiali della pace; Giovanni Paolo II che ha celebrato l’attualità di Gandhi (febbraio 1986) e ha esaltato gli «esempi luminosi e profetici offerti da coloro che hanno improntato le loro scelte di vita al valore della non-violenza» (1 gennaio 2000); Benedetto XVI che, nel gennaio 2007, vede nelle beatitudini la «magna carta della nonviolenza cristiana».
Su questa scia il messaggio del primo gennaio 2017 ci aiuta ad affrontare con sapiente coraggio le nuove sfide nel cambiamento d’epoca, a curare la fioritura di un nuovo umanesimo. Siamo a un varco della storia. In questo impegno Gesù Cristo ci è maestro e guida: «Essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza». Grande è, dunque, il compito che il Papa ci affida, ribadito il 15 dicembre ad alcuni ambasciatori: «La scelta della nonviolenza come stile di vita diventa sempre più un’esigenza di responsabilità a tutti i livelli, dall’educazione familiare, all’impegno sociale e civile, fino all’attività politica e alle relazioni internazionali [...]. Questa è la strada da seguire nel presente e nel futuro. Questa è la via della pace, non quella proclamata a parole ma di fatto negata perseguendo strategie di dominio, supportate da scandalose spese per gli armamenti, mentre tante persone sono prive del necessario per vivere».