La legge è uguale per tutti, ricchi e poveri, simpatici e antipatici, famosi e sconosciuti. Lo stato di diritto non fa differenze, non deve, altrimenti verrebbe meno alla sua natura e alla sua funzione. Ma, in un sistema giudiziario che funziona a rilento come il nostro, anche le lungaggini sono uguali per tutti. Fanno riflettere, in proposito, due recenti sentenze di assoluzione in appello: quella dell’infermiera di Piombino Fausta Bonino e quella di Flavio Briatore. La signora era stata accusata di aver ucciso 10 pazienti con iniezioni letali nelle corsie dell’ospedale dove prestava servizio, poi condannata per omicidio volontario plurimo per quattro di quei casi. L’imprenditore, titolare di locali di lusso ed ex supermanager di team di Formula 1, invece, ha visto ribaltata dopo sei processi la condanna per evasione fiscale relativa al suo yacht da 63 metri.
Bene, si dirà, giustizia è fatta: più gradi di giudizio esistono proprio per garantire la massima tutela della vittima e dell’imputato. Se non che, queste due vicende giudiziarie e questi due profili umani agli antipodi sono accomunati, appunto, anche dalla durata dei procedimenti e dalla scia di amarezza che simili circostanze si lasciano dietro. Già, perché la signora Fausta, che si è sempre proclamata innocente, era stata indagata a fine 2015, arrestata a marzo 2016, rimessa in libertà un mese dopo, condannata all’ergastolo ad aprile 2019, assolta lunedì scorso: fanno più di 6 anni.
Briatore invece ha dovuto attenderne 12 perché un giudice stabilisse che «non costituisce reato» l’attività di charter per la quale avrebbe impiegato la sua megabarca. Che circa un anno fa è andata all’asta: valore di mercato 20 milioni di euro, prezzo realizzato 7,5 milioni. Per una beffa della sorte (o forse no), lo yacht 'Force Blue' sarebbe stato comprato da una vecchia conoscenza di Briatore, l’ex patron della Formula 1 Bernie Ecclestone.
Non entriamo nel merito delle sentenze e affidiamo alle sedi proprie, le analisi socio-economiche, il giudizio sull’accumulo di certe ricchezze e sull’uso che se ne fa. Qui interessa lo stato del processo e la sua funzione, che non è soltanto quella di garantire giustizia, ma anche di farlo nel più breve tempo possibile. Allargando lo sguardo, c’è chi ha vissuto per decenni con l’accusa di essere mafioso, ladro, assassino. E se c’è l’accusa, per gran parte dell’opinione pubblica quel tale è mafioso, ladro, assassino. Alcuni hanno avuto almeno la fortuna di sopravvivere e di vedersi scagionati, altri sono morti 'mafiosi', 'ladri', 'assassini'.
Ancora una volta, perciò, si palesa l’urgenza di accelerare i tempi dei processi (anche civili), compito affidato alle riforme elaborate dalle commissioni ministeriali su indicazione della ministra Marta Cartabia e già approvate dal Parlamento. Si tratta di leggi delega, quindi occorre che il governo proceda nel minor tempo possibile con i decreti legislativi, mentre si sta provvedendo ad assunzioni di personale per gli uffici del processo e le altre esigenze amministrative/operative. Già non mancano obiezioni sull’efficacia che le nuove norme avranno in termini di snellimento dei tempi e di qualità effettiva del servizio giustizia, ma per vedere se una macchina funziona bisogna pur metterla in moto.
In secondo luogo, per evitare che l’immediata condanna mediatica anticipi e finisca per sostituire la sentenza del tribunale, è necessario dare corso nella pratica quotidiana degli uffici giudiziari al decreto legislativo 188 del 2021 sulla presunzione d’innocenza, partendo dal divieto per le autorità giudiziarie «di indicare pubblicamente come colpevole» la persona indagata o imputata.
Sappiamo delle perplessità riguardanti i rapporti tra fonti giudiziarie e giornalisti e saremmo i primi a denunciare eventuali rischi di censura. Intanto, però, si ristabilisca un principio di civiltà giuridica.
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