Caro direttore,
i nuovi scenari globali richiedono con urgenza un forte presidio da parte della "politica". Ma in Italia essa si frantuma, si avvita su se stessa e di fatto rinuncia al suo ruolo di guida della comunità. La lunga e travagliata transizione che dal rapimento di Aldo Moro ha portato alla crisi della Prima Repubblica e al tentativo fallito della cosiddetta Seconda Repubblica, rischia di proseguire con una nuova fase di instabilità. Si rinuncia a vedere nelle elezioni l’occasione per prospettare al Paese progetti credibili di governo, frutto dell’alleanza tra culture politiche diverse, ma legate dal vincolo di una prospettiva di bene comune. Sembra che tutti si siano rassegnati all’idea che il prossimo Parlamento sarà un teatro tattico nel quale i vari "Signori della guerra" giocheranno la loro partita, dopo il voto.
Intanto, in Europa, il rinnovato asse franco-tedesco sembra riavviare un processo di maggiore integrazione, anche come risposta alla "dottrina Trump". Ma l’Italia rischia di rimanerne ai margini, con pesanti ricadute sul piano politico ed economico. Il deficit di coesione e di stabilità politica costituisce l’ostacolo principale per un aggancio forte e autorevole dell’Italia al processo europeo, al di fuori del quale rimane solo un triste declino nazionalista, con la rinuncia al naturale ruolo di ponte dell’Europa verso la nuova centralità del Mediterraneo. Chi si richiama al cattolicesimo democratico e alla cultura politica del popolarismo non può accettare una prospettiva di questo genere. Deve avvertire il dovere di una rinnovata, coerente iniziativa politica, che non consiste nel farsi reclutare da ulteriori piccoli "Signori della guerra".
La cultura del popolarismo di ispirazione cristiana ha sempre offerto al Paese un "pensiero di sistema", ricercando convergenze orientate alla evoluzione complessiva del quadro sociale e politico. Più che a congetture organizzative, dunque, l’attenzione va rivolta a ricostruire un "pensiero" sul futuro del Paese e della sua democrazia. Va aperta una discussione pubblica capace anche di sfidare su questo terreno i naturali interlocutori di un possibile progetto comune.
Conferma dell’opzione europeista; impegno concreto e strutturale contro le disuguaglianze economiche, che tra l’altro ostacolano la crescita; centralità del lavoro e nuovo modello di sviluppo, socialmente e ambientalmente sostenibile; maggiore equità e progressività nelle politiche fiscali; interventi organici, duraturi e consistenti per le famiglie e la natalità; progetto di lungo periodo per una positiva integrazione degli stranieri; rilancio della sussidiarietà, del protagonismo dei corpi intermedi e delle autonomie locali, condizioni indispensabili per ricostruire spirito di comunità: questi ci sembrano alcuni capisaldi di una possibile piattaforma per ricomporre il rapporto tra la politica e i cittadini.
Ciò che serve è un "discorso al Paese", proposto – con parole di verità e di responsabilità – da persone credibili.
Questa è l’unica base possibile per una solida, plurale alleanza democratica, popolare e riformatrice, condivisa da soggetti politici, movimenti civici e reti sociali, che si proponga di riportare alla partecipazione politica ed elettorale i tanti italiani oggi ritiratisi su una sorta di "Aventino democratico" e di rappresentare così – con le forme organizzative che la legge elettorale e il confronto politico consentiranno – una alternativa credibile a populismo e xenofobia.