La storia dell’Unione Europea ci ha abituato alle sorprese. Lunghe fasi di stallo e persino di arretramento si alternano a improvvise accelerazioni, a novità talvolta persino difficili da sperare. È stato così, di recente, per il Recovery Fund post-pandemia, e potrebbe accadere di nuovo per la riforma dei regolamenti di Dublino sull’accoglienza delle persone in cerca di asilo. Potrebbe, perché la strada per raggiungere un accordo efficace non sarà per nulla agevole, dando per scontate le resistenze dei Paesi sovranisti del gruppo di Visegrad, quelle che arriveranno da altre capitali dell’Europa orientale, e quelle più felpate, ma nei fatti altrettanto tenaci, di partner europei più paludati, come Austria e Danimarca.
Credo però che la discussione sulle nuove regole vada collocata in un quadro più ampio e fondativo, di cui Ursula von der Leyen ha dimostrato nel suo intervento di essere almeno in parte consapevole. Quattro aspetti sembrano decisivi.
Il primo si riferisce allo statuto dei diritti umani nella costruzione europea, e alle disposizioni da introdurre per assicurarne il rispetto da parte di tutti gli Stati membri. Qui la Ue si è mostrata lenta ed esitante, tollerando di fatto la violazione di norme solennemente sancite dalla propria Carta dei diritti fondamentali, come il diritto di asilo e il divieto di espulsioni collettive. Stride in maniera sempre più clamorosa la distanza tra il rigore con cui la Ue fa rispettare le quote latte, l’etichettatura dei prodotti, le norme in materia di aiuti di Stato e di concorrenza, e la blanda riprovazione riservata agli Stati che si rifiutano apertamente o surrettiziamente di ottemperare ai propri obblighi umanitari. Incisive sanzioni economiche, sotto forma per esempio di taglio dei fondi europei, dovrebbero essere introdotte contestualmente alle nuove regole sul ricollocamento dei profughi.
In secondo luogo, la discussione sulla redistribuzione dei richiedenti asilo lascia trapelare una mortificante visione dei rifugiati, non dando spazio alla loro voce. Li considera come fardelli passivi, da caricare con più equità sulle spalle dei diversi Stati membri, senza che a loro, i diretti interessati, sia concesso di esprimere preferenze, aspirazioni, progetti. Non si comprende che senso abbia spedire in Portogallo o in Romania persone che hanno parenti in Germania o in Svezia, o che comunque sanno bene dove potranno trovare maggiori opportunità per ricostruire la loro vita. La redistribuzione forzata dovrebbe essere configurata come una breve tappa intermedia, non come un destino. Già oggi fra l’altro, e l’abbiamo sperimentato anche in Italia con siriani ed eritrei, chi ha dei legami con reti di parentela insediate in altri Paesi cerca di raggiungerle. Nello spaesamento delle migrazioni forzate, la speranza di affidamento su volti conosciuti e su vincoli di sangue è uno dei pochi punti fermi. Si dovrebbero quindi integrare le auspicabili regole di redistribuzione con altre regole, ancora più auspicabili, che consentano la sensata circolazione dei rifugiati, rimborsando con fondi comunitari i Paesi che maggiormente li accolgono.
In terzo luogo, la Ue non dovrebbe limitarsi a redistribuire i richiedenti asilo, ma fissare degli standard per un’accoglienza dignitosa ed efficace, monitorandone l’applicazione. Non si può tollerare un’accoglienza all’ungherese, né in un prevedibile futuro l’approntamento di soluzioni svogliate e ghettizzanti, magari in un clima di ostilità, per scoraggiare se non l’arrivo, la permanenza sul territorio dei rifugiati.
Da ultimo, rischia di rimanere irrisolto il problema dell’accesso al territorio della Ue di sfollati e perseguitati. Qui von der Leyen non si è discostata, per ora, dalla retorica delle frontiere esterne da difendere. Finché non si introdurranno dei dispositivi per consentire a chi ne ha bisogno di bussare alle porte dell’Europa comunitaria, senza affrontare rischiosi viaggi per mare o per terra, le promesse di un nuovo impegno umanitario suoneranno ancora ipocrite.
In questo senso i corridoi umanitari italiani, come pure altre formule di reinsediamento dei rifugiati, indicano che le soluzioni già esistono, funzionano, e possono essere incrementate. Alla presidente Von der Leyen, alla Ue bisogna, dunque, chiedere di andare avanti con risolutezza sulla strada intrapresa, senza dimenticare che la riforma dei trattati di Dublino è indispensabile, ma il lavoro, poi, dovrà continuare.