Come sovente accade, il prezzo politico del salvataggio di un Paese ricade sul suo stesso salvatore. Non stupisce dunque la caduta di Alexis Tsipras, premier e leader di Syriza, che domenica scorsa ha perduto il consenso popolare consegnandolo all’avversario di Nea Dimokratia Kyryakos Mitsotakis, cinquantunenne tecnocrate e figlio d’arte, ora alla guida dei conservatori che si apprestano a governare la Grecia nel nome di una rinascita economica e sociale che appare ardua. Tsipras, leader di quella coalizione di sinistra radicale che assommava comunisti, ecologisti, socialdemocratici, antiglobal e veteromarxisti, è l’uomo che ha traghettato la Grecia inghiottita dalla crisi economica verso una normalità che la liberava dalla tutela della troika mantenendola nell’eurozona, assicurandole una soddisfacente crescita economica e ripristinando la fiducia dei mercati nei confronti di un Paese che più volte è stato sull’orlo del default. La cura di Tsipras tuttavia non è stata indolore. Artefice nel 2015 di un referendum che bocciava clamorosamente l’austerità imposta da Bruxelles, il giovane leader ha finito per sconfessare il suo stesso elettorato capitolando di fronte alle tenaglie dei rigoristi (in testa a tutti la Germania del mastino Wolfgang Schäuble, al quale Tsipras consegnò la testa del ribelle Varoufakis in cambio dell’accesso a 289 miliardi di euro di aiuti economici concessi dalle banche e dal Fondo monetario internazionale), divenendo fra lo sconcerto generale un vero e proprio esecutore delle prescrizioni europee. Il che ha consentito alla Grecia di superare la fase acuta della crisi, ma al prezzo di una macelleria sociale senza eguali nell’Europa del dopoguerra: migliaia di cittadini del settore pubblico hanno perduto il posto di lavoro, un terzo almeno delle pensioni è stato falcidiato, ma soprattutto si è abbassata drasticamente la qualità della vita di centinaia di migliaia di persone, molte delle quali precipitate al di sotto della soglia di povertà. Lo testimoniano le lunghe file di indigenti che ancora fino a poco tempo affollavano le sedi delle organizzazioni caritatevoli così come l’impennata della denutrizione e della mortalità infantile e le drammatiche carenze di medicinali di prima necessità negli ospedali dovute al collasso della sanità pubblica, di cui molto poco, quasi per nulla si è parlato sui grandi giornali europei. Ci fu addirittura – e fu proprio 'Avvenire' a testimoniarlo – un inverno in cui l’aria di Atene e di Salonicco era ammorbata dal lezzo velenoso dei mobili di casa fatti a pezzi e adoperati per riscaldare molti condomini che non potevano più permettersi di pagare il combustibile per la caldaia. Piano piano, la Grecia di Tsipras è uscita dal girone infernale in cui era precipitata con quella durissima cura, un vero e proprio test sociale condotto con consapevole cinismo su una nazione abbastanza piccola da non impensierire i conti europei, ma sufficientemente grande da fungere da esempio per tutte le consorelle indisciplinate. Con il cambio della guardia al timone di Atene, i tassi dei bond decennali sono scesi dal 44% dei giorni bui al 2% di oggi, anche se la Borsa e gli operatori internazionali al dichiarato liberismo turbo- capitalista di Mitsotakis affiancano il timore che la destra tornata al potere ripeta le stesse malefatte dei suoi predecessori di Nea Dimokratia e del Pasók, un’alternanza conservatoriprogressisti che di fatto manteneva il Paese in un nirvana sociale fatto di assistenzialismo, corruzione e conti manomessi: a Bruxelles, al Fmi e alla Banca Mondiale ricordano benissimo come nel 2001 la Grecia avesse truccato il proprio bilancio (peraltro certificato da Goldman Sachs, ma, del resto, pecunia non olet) per potersi assicurare l’ingresso nella Ue. Il neoleader Mitsotakis promette meno tasse, benessere, crescita e fiducia da parte dei mercati. L’esito elettorale gli assegna una maggioranza stabile che non abbisogna di appoggi e coalizioni. Da notare anche l’affossamento dei neonazisti di Alba Dorata, precipitati sotto la soglia del 3% e spariti nella notte dello spoglio, a conferma che xenofobi e sovranisti perdono fiato e consensi quando la proposta politica è minimamente credibile. Ma per l’euforico Mitsotakis già si preannunciano le prime nubi: non bastasse una disoccupazione al 18%, la fuga all’estero di almeno 600mila giovani, l’alta imposizione fiscale e una discordia sociale che va ad alimentare l’antagonismo estremista, il nuovo governo sarà costantemente sotto la lente dei creditori. E da Bruxelles potrebbe partire già nelle prossime ore una richiesta di manovra correttiva per il 2019. Tanto per gradire. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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