Il colpo ai boss e l’emorragia di giovani siciliani
mercoledì 5 dicembre 2018

Sono ben 46 gli arrestati, a Palermo, con l’accusa di aver ricostituito, nello scorso maggio, poco dopo la morte di Totò Riina, la nuova 'cupola' mafiosa del capoluogo siciliano. Tra essi, Settimo Mineo, ufficialmente rispettabile gioielliere, in realtà accusato di essere l’anziano capo riconosciuto del mandamento di Pagliarelli, scelto per guidare la 'commissione provinciale' di Cosa Nostra, che si ricostituiva per la prima volta dopo il 1993. Dopo la scomparsa del 'capo dei capi', dunque, la mafia, fino a questo momento operante in ordine sparso, si era sentita autorizzata a eleggere il suo successore e a riorganizzarsi in una struttura unitaria. L’operazione dei carabinieri, frutto di pazienti e lunghe indagini, ha stroncato sul nascere questo tentativo. Non è la prima volta, del resto, che le forze dell’ordine intervengono efficacemente contro 'cosa nostra'.

Le brillantioperazioni che, in questi anni, hanno portato in carcere i maggiori boss ne sono una eloquente testimonianza. Eppure, proprio il ripetersi di questi successi non può non far nascere il dubbio inquietante che siamo davanti a un cancro capace di riprodursi, dopo ogni colpo subìto, con rinnovata, malefica vitalità. Come l’idra, il mostro affrontato da Ercole, che, ogni volta che una delle sue nove teste veniva mozzata, ne faceva nascere dal moncherino altre due. Non è certo un motivo per desistere dalla giusta e necessaria lotta contro la struttura criminale della mafia.

Ma sembra ragionevole chiedersi se essa sia sufficiente a debellare in modo radicale questa piaga. In realtà il risorgere periodico di 'cosa nostra' dalle sue ceneri si spiega solo guardando a un contesto sociale, economico e culturale più ampio, che non coinvolge solo i mafiosi in senso stretto, ma tante persone giudiziariamente incensurate, che, con la loro mentalità, con la loro connivenza, con il loro esplicito e implicito appoggio, ne costituiscono il 'brodo di coltura'. Ci sono, certamente, anche tante forze sane, educate a una cultura civile, in grado di lavorare a una società migliore, dove la mafia non troverebbe posto. Di esse sono state espressione personalità come Falcone e Borsellino, come tutti coloro che li hanno amati e sostenuti, come tanti onesti e impegnati funzionari. Ma, salvo che in certi momenti pieni di speranza, queste forze non sono riuscite a diventare maggioritarie e a sconfiggere il clientelismo, la corruzione, l’inefficienza amministrativa, che formano il triste quadro del degrado della Sicilia e la premessa della malefica resilienza mafiosa. Ciò che però è più drammatico è che questa parte più sana della società siciliana è, ormai da molti anni, vittima di una costante emorragia. I giovani più preparati, più consapevoli, più intraprendenti fuggono da Palermo e dalla Sicilia, alla ricerca di migliori opportunità di studio e di lavoro.

Nel solo 2017 sono stati diecimila i ragazzi siciliani che hanno lasciato la loro terra, non per amore di avventura – molti partono con l’angoscia di dover abbandonare la famiglia, gli amici, i legami affettivi, insomma, la loro vita –, ma per la drammatica carenza di sbocchi lavorativi. Le università siciliane hanno perduto e perdono centinaia di iscritti ogni anno, non perché i loro docenti siano meno qualificati, ma per il vuoto a cui chi le frequenta si trova inesorabilmente di fronte dopo la laurea. Ecco dunque dei nuovi migranti che, come in un tempo passato, dal Sud vanno verso il Nord o verso altri Paesi. Ma non sono più i poveri braccianti con la valigia di cartone. Sono, spesso, i migliori, quelli per la cui formazione si sono spese tante risorse e che dovrebbero costituire la nuova classe dirigente, in grado di restituire alla Sicilia una vitalità economica e civile sempre più debole.

Non basta catturare i boss mafiosi. Onore alle forze dell’ordine che lo fanno e ai magistrati che sulla base delle indagini lo ordinano. Ma, se non si ferma questo flusso migratorio, la mafia potrebbe vincere la guerra anche perdendo queste battaglie. Bisogna assolutamente ridare prospettive di lavoro ai giovani siciliani. Bisogna investire nell’ambito produttivo e in quello universitario (gli atenei del Sud hanno ormai pochissimi posti da offrire ai loro laureati più brillanti), per far rimanere i migliori. Solo così potremo sperare in una classe dirigente sana e responsabile. E solo così la mafia potrà essere veramente sconfitta.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: