La notizia è di quelle destinate a far discutere a lungo e lasciare uno strascico di polemiche senza fine. Con un provvedimento unilaterale le autorità eritree hanno prima annunciato (il 25 maggio scorso), e da qualche settimana deciso di recedere dagli accordi che dal 1903 tenevano aperta la Scuola italiana di Asmara, un fiore all’occhiello del nostro sistema scolastico all’estero a guida Farnesina. Ricercare ora le responsabilità degli uni e degli altri è un esercizio che richiederebbe troppa fatica e un’inutile perdita di tempo, ma che qualcosa non abbia funzionato nel verso giusto appare fin troppo chiaro a tutti.
Di certo hanno pesato le nostre decisioni passate di decurtare il contributo finanziario alle Scuole e alla formazione all’estero (Dl 64/2017 e Dm 2051/2018), dando l’idea di una dismissione degli impegni italiani verso gli amici eritrei, ma di contro, la loro richiesta di abbassare a 5, anziché a 9 gli anni del mandato degli insegnati italiani inviati da Miur, ci ha messo del suo: troppo breve la stretta scadenza di tempo e pochi i docenti locali in grado di sostituire i colleghi ita- liani garantendo altrettanti risultati. Eppure, i numeri parlavano chiaro: ancora nel 2019 un totale di 1.527 studenti, suddivisi tra primaria, secondaria di I e II grado con indirizzo tecnicoamministrativo, ambientale e liceale, frequentavano i nostri corsi desiderosi di apprendere i rudimenti di una cultura concreta, raccontata dai loro padri e dai nonni, che faceva dell’Italia il sogno di una vita.
Ai numeri degli studenti di Asmara seguivano solo quelli delle altre nostre scuole all’estero, a partire da Madrid (con 954 studenti), Barcellona (678), Addis Abeba (663), Istanbul (464), Parigi (287), Atene (258) e fino a Zurigo con poche decine di iscritti. Risultato di tutto questo tira e molla? Una crescente tensione tra le parti che ha finito per esasperare gli animi con accuse reciproche e infiniti risentimenti dei due contendenti. Giunti a questo punto mancava solo la miccia per accendere il grande falò, che puntualmente è arrivata con il provvedimento (improvvido?) da parte italiana di sospendere le attività didattiche a causa della crescente pandemia di Covid-19, presa senza consultare preventivamente le controparti locali (questa la versione eritrea) e lasciando gli studenti e docenti appesi a un filo di incertezza. Sia come sia, le cifre del disastro parlano chiaro.
La chiusura della Scuola italiana ad Asmara non solo è un danno per la nostra ormai esigua comunità presente nel Paese africano (praticamente insignificante, oggi ridotta a 800 persone su una popolazione di 3.452.786 abitanti), ma soprattutto per le migliaia di ragazze e ragazzi che, dall’età prescolare alle medie superiori di primo e secondo grado, frequentavano fino a pochi mesi fa uno dei nostri centri di eccellenza dove apprendere la lingua del loro Paese dei sogni, l’Italia.
Passata quasi sotto silenzio dalla stampa nazionale e dalle nostre autorità, per la distrazione e l’incuranza con cui spesso noi italiani gestiamo faccende del genere, l’affaire di Asmara si sta trasformando in un vero e proprio boomerang, facendo segnare un grave punto a sfavore della nostra diplomazia nel Corno d’Africa. Con Asmara se ne sta andando dunque un pezzo di storia italiana, ieri meno, oggi più decente, in cui la nostra lingua e la nostra cultura hanno rappresentato per ben più di un secolo un futuro di vita. Un sollecito a riattivare le attività della scuola italiana ad Asmara potrebbe giungere dalla stessa Unione Europea e dai colleghi inglesi e americani con i quali condividiamo preoccupazioni e speranze per il futuro della vita di tanti giovani.
Segretario generale Società Dante Alighieri