La ricorderemo questa massima di Albert Einstein sulla felicità, che cos’è, chi può raggiungerla, chi deve rassegnarsi. Quando la scrisse, Einstein si poneva anche la domanda se un giorno i posteri ne avrebbero parlato, e pensava di sì. Altrimenti non l’avrebbe accompagnata con le parole che ha usato. Si trovava in Giappone, stava tenendo un ciclo di conferenze, aveva già ricevuto il premio Nobel, era dunque al vertice della fama, e nell’albergo dove alloggiava arriva un fattorino a consegnargli un pacco. Einstein ringrazia, ma vorrebbe anche dargli una mancia, come si usa in Occidente. Forse non aveva soldi in tasca, o forse il postino non voleva la mancia, fatto sta che Einstein ripiega su un altro dono: prende due fogli, ci scrive sopra due massime, e glieli regala. Tre giorni fa questi due fogli sono stati battuti all’asta a Gerusalemme per oltre un milione e mezzo di dollari. Se tutto il mondo ne parla credo sia per questa ragione, il prezzo. Perché i due cimeli erano stati proposti per 5mila dollari, e dunque in venti minuti il loro valore s’è moltiplicato per trecento. Il richiamo della notizia sta qui: due pezzetti di carta, una montagna di denaro.
Einstein l’aveva previsto, e al fattorino aveva detto: «Prendete questi foglietti, un giorno, se sarete fortunato, varranno molto di più di una semplice mancia». Sì, va bene, penserà qualche maligno tra noi, ma la mancia sarebbe andata al fattorino, mentre l’incasso dell’asta a chi va? Sospetto errato: a portare i cimeli all’asta è un discendente del fattorino, quindi i soldi restano in famiglia. La discendenza del fattorino ha avuto una somma superiore, esattamente doppia, rispetto allo stesso premio Nobel, che oggi s’aggira sugli 800mila euro. Un cimelio venduto a un’asta ha un prezzo stabilito da mille ragioni: il valore intrinseco c’entra poco, c’entra di più la storia, il ricordo, il valore documentale, l’insegnamento che fornisce, e tutto questo si riassume nella formula: l’attenzione che suscita, nella casa in cui finisce. Queste due scritte di Einstein sono molto brevi. Una è banale, e dice: «Se hai la volontà, trovi la strada». I giornali la traducono con "Volere è potere", ma è meno generica. L’altra è una massima sulla felicità. Poiché la pronuncia, anzi la scrive, un genio, è una riflessione sul rapporto tra genialità e felicità.
Einstein scrive in tedesco, e tutti i giornali lo traducono: «Una vita tranquilla e modesta porta più gioia che una ricerca di successo legata a una continua irrequietezza». Oppure: «Una vita tranquilla e modesta porta più gioia del perseguimento del successo legato a un’agitazione perenne». La differenza tra "ricerca" del successo e "perseguimento" del successo non è poca cosa, perché il perseguimento indica una ricerca riuscita. È come se dicesse che "il successo" di per sé non dà felicità. Anche la distinzione fra irrequietezza e agitazione è enorme. Irrequietezza o inquietudine è la parola che usa Agostino per indicare la ricerca del Bene, che però una volta raggiunto segna la fine dell’agitazione o inquietudine. Dice Agostino: «Inquietum est cor meum, donec requiescat in Te» (Il mio cuore è inquieto sino a che non riposa in Te). Perché non è soltanto un fine scientifico o dottrinario, ma anche un fine etico, un bene, il Bene. Forse Einstein si chiedeva se la Fisica che lui costruiva raggiungeva la Metafisica.
La parte maligna di noi pensa che Einstein volesse consolare il fattorino, "tu vivi una vita modesta, non pensi alle grandi cose, e in questo limite trovi la felicità". Ma allora perché Einstein continua la sua ricerca, a tormentarsi senza felicità? Tu postino vivi una vita piccola e la riempi tutta, io non riempio la mia, perché è più grande. Colui che cerca, anche se non trova, non vorrà mai essere colui che non trova perché non cerca. Però sentiamo che nel testo di Einstein c’è qualcosa di sbagliato, ed è il "successo" (erfolgreich). Non puoi costruire la tua felicità puntando sul successo, perché il successo dipende dagli altri. Chi fa il prete si lega al sacro, non all’applauso. Chi fa il pittore si lega all’arte, non al premio. Tolstoj non ha avuto il Nobel, ma non per questo smettiamo di leggerlo. Einstein ha avuto il Nobel, ma non è per questo che lo studiamo.