Non mi toccare. Ogni diluvio è fonte di trasformazione
martedì 5 maggio 2020

Nell’ultimo giorno della sua vita Mosè espresse a Dio un desiderio: «Permetti che io passi di là e veda la bella terra che è oltre il Giordano e questi bei monti e il Libano». Ma dura fu la risposta di Dio: «Volgi lo sguardo a occidente, a settentrione, a mezzogiorno e a oriente e contempla con gli occhi, perché tu non attraverserai questo Giordano » (Deuteronomio 3,25–27). L’uomo che aveva camminato per quarant’anni portando il peso della Promessa di una terra “bella e spaziosa”, di latte e di miele, non vi avrebbe mai messo piede. Ma l’avrebbe soltanto “guardata da lontano” proprio come le donne dovettero fare con Gesù, mentre moriva in Croce. Il Corpo del Signore, Altra terra promessa, bella, libera, dolce. Terra d’abbraccio, meta di spes contra spem, carne di fraternità, liberata dal sangue di Abele. Chi non vorrebbe toccarlo? Chi non vorrebbe baciarlo? Stringerlo, trattenerlo, cantarne la delizia in un Cantico intonato con cinque e mille sensi? Ma come a Mosè fu negato di adagiare le membra stanchissime sull’umore dei pascoli cisgiordani, così a Maria di Magdala fu negato di “trattenerlo”.

«Non mi toccare » fu la parola del Signore risorto. Mai come quest’anno la Chiesa universale si è trovata nei panni della Maddalena. Una Pasqua vuota di tatto e di abbraccio. Priva del contatto delle mani nello scambio della pace, di quello tra i ministri e l’assemblea concelebranti, assenti dalla Messa, niente Battesimi, Matrimoni, e, specialmente, il bacio e l’Unzione dei malati. Non c’è stato contatto tra i fratelli e le sorelle delle comunità, tra gli uomini e le donne separati dai diversi ruoli, vocazioni, ministeri. E quanto ai molti poveri, agli stranieri, agli anziani e ai giovani soli, ai figli di nessuno, sarà pesata la maggior difficoltà di ripararsi nell’unica famiglia sempre aperta: l’oratorio, la chiesa, la parrocchia. Sembra un paradosso ma è proprio questa la primizia di Pasqua! Nella “distanza” a lei si rivelò la Presenza. «Maria», Lui la chiamò; «Maestro», lei lo riconobbe. Benedetta lontananza, sguardo teso, privo di possesso! E proprio per questo puro, nitido, vero. Casto di ogni rischio idolatrico. Immune da ogni eventuale rapina clericale, ideologica o venale. La fede che si radica sulla fiamma della Voce del Risorto: «Non mi toccare ma va’ dai miei fratelli e dì loro (…) Ho visto il Signore» (Giovanni 20,17–18).

Deboli e forti

Recentemente tra i cattolici si è aperta una dialettica su cosa sia essenziale alla vita cristiana. Molti hanno reclamato l’anima caritatis, quella spirituale o quella kerygmatica che nessuna fisica distanza può ostruire. Tanto meno nell’era delle piattaforme virtuali. Non è giustificato il bisogno stringente di res, di “presenza reale”, di corpo transustanziato, di riaprire, insomma, tempestivamente, le Chiese alle assemblee eucaristiche. Per chi non può fare la comunione sacramentale c’è la comunione spirituale. Qualcuno mette in guardia persino dalla tentazione di coprire – con lo zelo verso gli atti di culto – l’ansia di rioccupare spazi di autonomia. Il Vangelo di Maddalena dà ragione a costoro! Così il Vangelo di tanti cristiani che, in altrettante regioni del mondo, sono costretti a vivere senza la Messa la domenica. A lei e a loro, il Signore risorto, concede solo la visione, la voce e la Parola. Lei non può più toccare quel «Verbo» – che si «era fatto carne» (Giovanni 1,14) – e che ora è Risorto.

Ma il Vangelo di Giovanni non finisce con Maria di Magdala. Ci sono, poi, i discepoli. I quali non riescono a non “toccare”. Ne hanno bisogno per credere. Inattesa è la reazione del Risorto verso i suoi: «Metti qui il tuo dito (...) tendi la tua mano, mettila nel mio fianco», dice a Tommaso (Giovanni 20,27). Si fa di nuovo “corpo” quasi di madre, per loro. Conosce la loro debolezza e si abbassa per farsi abbracciare, si china su di loro, come un padre, per dargli ancora da mangiare (cf Giovanni 21,13).

La fede di Maria di Magdala è simile a quella di quei cristiani «forti» di cui parla Paolo. Essi hanno la conoscenza e sono liberi ma, proprio per questo, devono «accogliere chi è debole» e non «giudicare» i loro fratelli (Romani 14,1.10). I quali hanno bisogno, invece, di abbracciare anche nel tempo dovuto all’ «astenersi dagli abbracci» (Qoèlet 3,5). Nella Chiesa ci sono i deboli e i forti. E proprio nei tempi di crisi – come l’attuale – è necessario aver cura gli uni degli altri e non trasformare il Segno della comunione in teatro di divisione! Parlarne, discuterne, aiutarsi. Usare uno stile di domanda, di mitezza. Un linguaggio umile, paziente, che ascolti. Occorre sapersi aspettare a vicenda, come direbbe ancora Paolo. «Cerchiamo ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole» per non distruggere l’opera di Dio (Romani 14,19–20).

Sorella Chiesa

Di ogni cosa, ci accorgiamo già, non resterà la forma e le “strutture” attuali. Il lavoro non sarà più lo stesso e anche le relazioni umane muteranno. Anche la Chiesa cambierà, certamente. Ogni “diluvio” è fonte di trasformazione. Così come di purificazione, di correzione, di rinnovamento. E, prima ancora, di verità. Il diluvio rivela quanto la Chiesa già vive, la mette a nudo. E come accadde ai tempi di Noè, sarà ancora il vento che, soffiando sulle acque, farà riemergere l’“asciutto”. Il vento dello Spirito. Non credo che sarà più possibile separare le Chiese dalle case o contrapporre il clero ai laici ma solo con– iugarli nell’opera nuova. Non credo che sarà più possibile che solo alcuni abbiano la facoltà di pensare e di decidere e a tutti gli altri spetti di eseguire.

Nella Chiesa delle origini – critica nei confronti del dogmatismo legalistico – la Parola è di tutti e viene esercitata nel dialogo, nella ricerca profetica, nell’impegno e il travaglio del discernimento e nella discussione costruttiva. Così accadrà nel prossimo futuro. Riguardo i sacramenti la Chiesa dovrà prendere atto del deserto “reale”, attorno a essi; dovrà recepire il messaggio che veniva (molto prima del coronavirus) dalla fuga dei giovani dalla parrocchia, dopo gli anni del catechismo, e poi dal matrimonio e dal battesimo dei piccoli. Ancor più grave, della frequente in– incidenza morale, spirituale, culturale, dei sacramenti e del loro essere ridotti – molto spesso – a meri “soprabiti” esteriori. Anche la Messa: già da tempo non poche delle nostre chiese sono semi– deserte e la “distanza” di tre o quattro metri, tra i fedeli, in larga parte anziani, assolutamente garantita. Anche se la rinascita ci fa ancora paura, non perderemo, certo, l’occasione per darle Corpo e Voce.

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