Scrivo queste righe di domenica, è il 13 marzo e tra poco parteciperò al Battesimo di un mio nipotino. Penso anche a lui e al mondo che noi prepariamo alla sua generazione, mentre scrivo in prima persona – da direttore – per chiedere scusa. Voglio scusarmi per aver pubblicato a pagina 7 della nostra edizione domenicale cartacea e digitale una foto con un titolo e una didascalia profondamente sbagliati. La foto ritrae una bimba ucraina di nove anni che mangia un dolcetto e imbraccia un fucile.
Me ne sono reso conto, sabato notte, quando ormai era troppo tardi per intervenire: 'Avvenire' era andato in stampa e la nostra prima edizione digitale era già stata recapitata agli abbonati. Non ho voluto far rimuovere foto, titolo e testo, anche solo digitalmente, perché con errori di questo tipo si devono fare i conti. Oportet ut scandala ... Da un male riconosciuto e affrontato può venire un bene, da un messaggio ambiguo si può cancellare ogni (pur involontaria) doppiezza. Non si armano così i bimbi, e anche parole sbagliate, attorno una foto sbagliata, possono farlo.
E il fatto che la foto della ragazzina l’abbia scattata suo papà, non assolve nessuno. Non assolve noi (e parecchi altri, ma io scrivo per me e per noi) che l’abbiamo pubblicata e annotata come un’immagine di resistente fierezza, mentre è un’ulteriore prova della tragedia scatenata dall’aggressione russa all’Ucraina decisa da Vladimir Putin e dell’avvelenamento d’odio che avviene in Europa, sotto i nostri occhi e dentro la nostra storia.
Una follia pianificata da alcuni, e da troppi subìta e strumentalizzata, che su queste pagine non ci stanchiamo di denunciare all’unisono con papa Francesco e con i più lucidi e coraggiosi obiettori alla retorica bellica e alla vertigine dell’escalation. Non assolve nemmeno lui, il padre della ragazzina fotografata, che ammette di aver costruito l’immagine (in tutti i suoi elementi e ammiccamenti, sottolineando di aver usato un fucile «scarico») come un’icona contro l’invasione russa.
Mi scuso, dunque, con i nostri lettori e, prima ancora, con i bimbi e le bimbe dell’Ucraina e di ogni altro luogo del mondo dove infuriano guerra e persecuzione. Armati e mandati in guerra, e in molti modi dalla guerra segnati. Mi scuso con ogni bambina e ogni bambino usati e abusati nella logica della guerra, addirittura dal proprio papà e persino con le migliori intenzioni.
Nessuna guerra, con gli strumenti di morte di cui disponiamo nella nostra arrogante e letale modernità, si fa ormai più 'con le migliori intenzioni' e ogni innocente creatura alla quale si mette in mano un fucile o s’insegna a confezionare una bomba artigianale o viene trasformata in simbolo armato è un bambino o una bambinasoldato, vittima di un’intollerabile violenza.
Quella fotografia di bimba dice ed evoca tutto questo male, e gli dà patina fuorviante e illusoria. Nessuna creatura lo merita. Queste pagine di 'Avvenire' continueranno a dirlo con dolore, indignazione e tutta la chiarezza necessaria.