Si è fatto il vuoto intorno. Di colpo. Senza preavviso. Un vuoto che sa di estate, quando i servizi vanno in vacanza e le città si smobilitano. Ma fuori non è così caldo, anzi. Il cielo a tratti è plumbeo come le nostre anime, quelle dei genitori dei ragazzi disabili, e ancor più quella dei nostri figli. Di colpo, senza preavviso, tutto si è fermato. Un clima pesante si respira tutto intorno, sembra scattato il coprifuoco. Le scuole italiane sono state chiuse. I ragazzi ne approfitteranno per tirare il fiato, trovare metodi alternativi di studio o ricorrere ai tradizionali, bighellonare.
I bimbi staranno forse stressando mamme e papà che dovrebbero essere al lavoro. O avranno attivato baby sitter o nonni aitanti e giovani. Noi del pianeta dei disabili no. Al massimo avremo chiamato in servizio gli assistenti specializzati per qualche ora extra, che pesa sui nostri portafogli, tanto che la gran parte avrà dovuto rinunciarvi. E siamo di nuovo in apnea, in attesa che finisca. Il virus è aggressivo e persino letale per noi, anche senza contrarlo. Per noi genitori di figli disabili, in perenne sintonia con cuore e cervello dei nostri eterni ragazzi in subbuglio. Tg, trasmissioni di ogni tipo rimbalzano gli appelli a non muoversi da casa, ridurre gli spostamenti, evitare i contatti... parole parole parole, bla bla bla...
E chi lo dice ai nostri ragazzi di fermarsi? Di restare chiusi in casa, limitare i contatti, non uscire per il consueto saluto al negoziante o al vicino, rinunciare a quei piccoli gesti quotidiani che sanno di sicurezza, che riempiono la giornata e fanno sentire che la vita è bella anche così? Il “coprifuoco” è iniziato appena e noi genitori siamo già spenti, ma – come sempre, ancora e ancora – accendiamo i nostri sorrisi tentando di rassicurare gli occhi che non capiscono e ci guardano. Qualcuno domanda espressamente che succede? I bambini capiscono, a modo loro.
Si diffondono anche manuali di esperti che spiegano come presentare la nuova emergenza mondiale ai più piccoli. Loro, i disabili, interpretano, raccolgono le ansie e le inseriscono nelle loro menti–frullatore, per elaborarle ciascuno a suo modo, ma difficilmente in positivo. Per lo più in modalità aggressiva. Tutto questo noi genitori lo sapevamo. Lo intuivamo nel momento in cui, nel pomeriggio di mercoledì 4 marzo, si diffondeva la notizia della chiusura imminente delle scuole (già serrate al Nord dal 24 febbraio). E le chat Whatsapp (la piattaforma più utilizzata dalle mamme per comunicare in gruppo) rischiavano di andare in tilt. Tra ironia, ansia e preoccupazione, ci si comunicavano notizie, fake, ipotesi, soluzioni, tempi e modi di provvedere ai bambini. In parallelo, senza troppo intasamento, le chat delle mamme dei disabili – non senza altrettanta ironia e maggiore sarcasmo – si scambiavano angosciate comunicazioni sul probabile coinvolgimento nel divieto delle attività faticosamente conquistate per i nostri ragazzi disabili. Non scuole, ma laboratori, centri diurni, a volte semplici “parcheggi”, ma routine rassicuranti per chi ha bisogno di “contenitori” di ansie e luoghi di socializzazione.
Un mondo parallelo, questo. Sconosciuto ai più. Surreale come nelle fiction di fantascienza: un pianeta che solo in pochi (per loro inconsapevole fortuna) hanno frequentato, ma dove gli abitanti condividono con uno sguardo sensazioni, consapevolezze e certezze. Un pianeta – anche – dove può scattare una solidarietà senza pari, inconcepibile altrove. Dove il dramma di una mamma può diventare l’occasione di condivisione di altre mamme altrettanto “disastrate”.
Dove un sorriso vale cento sorrisi, un minuto di compagnia vale un anno. E dove si incontrano mamme speciali che senza indossare i colori dei supereroi si muovono con la stessa potenza e si fanno interpreti di chi, su quel pianeta, non trova la forza o non ha risorse per gridare. Mamme e papà speciali che si fanno interpreti di tutti gli altri “marziani” e bussano alla porta di chi non dovrebbe mai ignorare il mondo parallelo della disabilità. E mentre la politica promette risorse per i genitori rimasti a casa, le super eroine e i supereroi strappano risposte.
Come l’assicurazione che i centri diurni per disabili non chiuderanno. Una conquista che una di queste “supermamme”, Elena Improta, presidente di Oltre lo sguardo onlus, spiega bene così: «L’interruzione di un servizio del genere non crea unicamente un disagio alla famiglia, piuttosto accentua o fa riemergere le dinamiche che da anni e anni con la riabilitazione e socialità cerchiamo di sconfiggere per il loro bene: la criticità è legata alla persona con disabilità che ha difficoltà a comprendere il cambiamento, o meglio la chiusura o interruzione. Queste persone e le loro famiglie hanno il terrore di tornare a provare la deprivazione relazionale e la conseguente segregazione. Questo in molti casi riattiva l’aggressività e processi psicotici. Ecco cosa vorrebbe dire interrompere questi servizi. Li difenderemo con tutte le nostre forze». Anche le associazioni dei disabili da sempre in prima linea, tra cui Fish e Fand, si sono appellate subito all’ufficio preposto per la disabilità alla presidenza del Consiglio. Nel decreto la risposta ci sta: le “unità speciali” a domicilio potrebbero essere davvero un supporto per le famiglie stritolate tra gli appelli a stare a casa e i “ragazzi” che scalpitano per uscire. Per quelle famiglie che vorrebbero rispondere come le altre agli appelli che arrivano dalle autorità scientifiche e non, che vorrebbero sentirsi “normali” in questa situazione surreale per tutti, che ci fa rimpiangere la normalità.